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La demografia disuguale del Mediterraneo

La demografia disuguale del Mediterraneo

da Massimo Livi Bacci | 27 Dic 2022 | fenomeni migratori, migranti, popolazione

La demografia disuguale del Mediterraneo

La demografia disuguale del Mediterraneo è l'articolo apparso su Neodemos nel mese di ottobre 2022 che Civitas ripropone ai propri lettori. La profonda faglia che separa il Nord dal Sud del mondo traversa il Mediterraneo da ovest a est. Sotto il profilo demografico, scrive Massimo Livi Bacci, c’è sicuramente convergenza tra le tre sponde per quanto attiene alla sopravvivenza e alla salute, mentre il divario dei comportamenti riproduttivi resta notevole, per il rapido declino della fecondità nei paesi della riva nord come per il rallentamento della diminuzione di questa in quelli della riva sud. Questa divergenza si rifletterà, nei prossimi decenni, nella dinamica della popolazione giovane-adulta, e sulle pressioni migratorie da sud a nord. 

La demografia disuguale del Mediterraneo
Negli ultimi settant’anni si è compiuta, nella regione Mediterranea, un’incredibile rivoluzione. Nel 1950, l’intera regione1 contava 196 milioni di abitanti, per oltre la metà nei paesi della Riva Nord, ma nel 2050 la popolazione si avvicinerà ai 700 milioni, tre volte e mezzo quella di un secolo prima. Questa prima rivoluzione ne contiene, per così dire, una seconda, dato che in questi cento anni, alla debole crescita, pari a circa un terzo, della Riva Nord, si contrappone quella estremamente vigorosa delle Rive Sud e Est (RS e RE), che nel 2050 vedranno moltiplicata la loro popolazione rispettivamente di quattro e di sei volte2. Il baricentro demografico del Mediterraneo, ben piantato nella riva Nord nel 1950, si sarà così fortemente allontanato dall’Europa nel 2050. La Figura 1 dà conto di queste straordinarie rivoluzioni.

 

 

La demografia disuguale del Mediterraneo

Livelli di vita: un divario profondo

Due parole anche sulla “distanza” economica tra il margine europeo del Mediterraneo e i margini asiatico e africano, che può desumersi visivamente dalla Figura 2, per i maggiori paesi della regione. Tra gli innumerevoli indicatori possibili (tutti peraltro strettamente correlati tra loro) scegliamo la misura del reddito pro-capite, convertito in dollari con parità di potere d’acquisto. Nella media dei tre grandi paesi europei, questo è cresciuto nei tre decenni considerati da 31mila a 41mila dollari, con un aumento di circa un terzo; nella media dei tre grandi paesi della riva sud, il reddito pro-capite è aumentato di quasi l’80 per cento (da 5.700 a 10.100). Le distanze relative si sono accorciate, ma non così quella assoluta, che è invece considerevolmente aumentata, segnalando che la faglia economica non si è ristretta, come era sperabile, nel trentennio trascorso.

La demografia disuguale del Mediterraneo

Sono evidenti le implicazioni geo-politiche, oltreché geo-demografiche, del cambiamento sopra sintetizzato: nel 1950 la Spagna aveva una popolazione tripla di quella del Marocco, nel 2050 saranno in parità; nel 1950 la popolazione della Francia era quintupla di quella dell’Algeria, ma saranno equivalenti nel 2050; ancora nel 1950, la popolazione dell’Italia era più che doppia di quella dell’Egitto, ma varrà appena un terzo di questa nel 2050. Sappiamo bene che il numero, da solo, non significa peso politico, o economico, o culturale, nello spazio internazionale, ma peccherebbe di ingenuità chi pensasse che è un fattore “neutro” nei rapporti tra paesi o nelle dinamiche dello sviluppo.

Convergenze e divergenze delle tre rive 

Come stanno evolvendo i fattori che hanno determinato e stanno determinando lo sviluppo demografico delle tre rive del Mediterraneo? Le forze che ne guidano l’evoluzione, in che direzione stanno andando? Esiste una “convergenza”, di natura demografica tra le tre rive? I dati mostrano alcuni elementi di sintesi delle tendenze in corso. La riproduzione, sintetizzata dal numero medio di figli per donna, è la variabile demografica più strettamente correlata con il tasso d’incremento della popolazione. 

Nel 1980 Spagna e Francia avevano livelli di fecondità uguali o superiori al livello di sostituzione mentre i paesi delle RE e RS (a eccezione della Turchia) avevano un alto numero medio di figli, tra i 5 e i 7, indubbio segnale della scarsa penetrazione del controllo delle nascite (Figura 3). In questi ultimi paesi la fecondità si è ridotta a meno della metà rispetto all’inizio degli anni ‘80; questa rapida discesa – spinta dalla crescita dei livelli d’istruzione, anche femminili, da una maggiore indipendenza delle giovani coppie dalle tradizioni familiari, specialmente nei ceti urbani e dall’aumento considerevole dell’età al matrimonio – ha molto ristretto il divario con i paesi della RN.

Ma non lo ha annullato, anche perché nel margine europeo del Mediterraneo, la fecondità è ulteriormente diminuita, ben sotto i livelli di rimpiazzo, preludendo a una consistente diminuzione della popolazione (in Spagna, Italia, Grecia).  Ancor oggi la fecondità di Siria, Egitto e Algeria è più che doppia di quella dell’Italia e della Spagna. Inoltre, nelle popolazioni del Nord Africa, particolarmente in Algeria, la contrazione della fecondità si è arrestata negli ultimi 10-15 anni con segni sensibili di inversione, contraddicendo le aspettative di una ulteriore diffusione del controllo delle nascite e abbassamento della fecondità. Varie sono le ipotesi: la diffusa crisi e incertezza economica e quindi il rafforzamento del ruolo protettivo della famiglia, un ritorno alla tradizione e una maggior presa della religione e della cultura islamica, una persistenza di modelli antichi di riproduttività nelle campagne.

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Per quanto riguarda la sopravvivenza, c’è stata sicuramente una forte convergenza; la speranza di vita alla nascita dei paesi della RN era di 15-20 anni più lunga dei paesi delle RE e RS all’inizio degli anni ’70, ma la distanza è attualmente inferiore a 10 anni. C’è stato, quindi, un sensibile ravvicinamento, ma la distanza resta ancora notevole, e i progressi della sopravvivenza tendono, per legge quasi naturale, ad essere via via minori tanto più cresce la speranza di vita.

La demografia disuguale del MediterraneoLegato alla sopravvivenza è il “peso delle patologie” (burden of disease) che gravano sulla qualità del capitale umano, o, con una parola più semplice, sullo stato di salute generale di una popolazione. Ancora da valutare sono le conseguenze dell’epidemia di coronavirus nel medio periodo, che ha peggiorato sensibilmente la sopravvivenza nel 2020 e nel 2021.

Saldi migratori

Uno sguardo, infine, alla migrazione. In questo settore, purtroppo, le statistiche lasciano notoriamente a desiderare. Le Nazioni Unite stimano il saldo netto migratorio (immigrati meno emigrati) per i vari paesi, misura che dà conto in modo assai sommario delle tendenze. Ben note quelle dell’Europa Mediterranea, forte esportatrice di mano d’opera fino agli anni ’70, area di forte immigrazione nel ventennio a cavallo del secolo (un saldo netto di quasi 8 milioni tra il 1991 e il 2010), ridotta a meno di un milione per effetto della crisi economica e della pandemia tra il 2011 e il 2021.

Nella RE i movimenti migratori, nell’ultimo decennio, sono stati dominati dagli intensi flussi di profughi e rifugiati – con conseguenze quantitative per la migrazione netta (2010-2020) pari a -4,8 milioni per Siria e a +1,4 milioni per la Turchia – dovuti ai conflitti e agli sconvolgimenti medio-orientali, e cioè alla politica, e non certo alla demografia o all’economia. I paesi della RS, hanno generato tradizionalmente flussi emigratori (Figura 4), specialmente verso la RN, attenuati nell’ultimo decennio, per effetto della crisi economica e dell’esaurirsi della domanda di lavoro in Spagna e Italia, e delle politiche migratorie divenute molto restrittive di quasi tutti i paesi Europei.

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Giovani e migrazioni

Qualche considerazione a conclusione di questa rapida rassegna della demografia mediterranea. C’è sicuramente un processo di convergenza tra le sponde del Mediterraneo, e non poteva essere diversamente, dal momento che l’emersione dal sottosviluppo porta con sé, invariabilmente, un rilevante cambio demografico, e un avvicinamento ai modelli propri dei paesi più avanzati. Tuttavia le divergenze sono ancora oggi assai rilevanti, e si riflettono sia sulla crescita demografica, stazionaria o in declino nella RN, ancora vigorosa nelle altre rive, sia nella struttura per età. Ai differenziali di crescita è stato accennato all’inizio; sulla struttura per età, si guardi soprattutto allo sviluppo della popolazione tra i 20 e i 40 anni, dalla quale proviene la gran maggioranza dei migranti, nella quale si prendono le decisioni riproduttive, dalla quale dipende, in buona parte, lo sviluppo e la produttività dell’economia.

Ebbene, nella RN, ancora tra il 2020 e il 2050, questa popolazione giovane diminuirebbe di circa un quinto, contro un aumento di un terzo nella RS. In che misura questo sbilancio peserà sui futuri flussi migratori? Saranno in grado le popolazioni del margine nordafricano di assorbire le nuove numerose leve che entreranno nel mercato del lavoro, mediamente assai più istruite che nel passato e in buona parte urbanizzate? 

Un’altra riflessione riguarda l’imprevedibilità delle vicende politiche internazionali, che hanno profondamente turbato gli assetti demografici dei paesi della RE e che condizionano l’entità, la direzione, la composizione dei flussi migratori nell’intera regione mediterranea. Alcuni conflitti sono stati sicuramente alimentati dal rapido aumento della numerosità delle giovani generazioni (sia assoluto sia in proporzione della popolazione totale), particolarmente nelle aree urbane, molto scolarizzate, connesse (non solo virtualmente) col mondo sviluppato, fortemente frustrate nelle loro aspettative e ambizioni.

In Egitto, Libia, Siria, Tunisia tra il 1970 e i 2010, il peso demografico delle generazioni di 15-35 anni, è aumentato considerevolmente, di 5-9 punti percentuali. I conflitti all’interno e nelle prossimità della regione mediterranea hanno prodotto flussi di rifugiati che i paesi della RN contrastano con politiche restrittive, incapaci, purtroppo, di mettere in campo politiche di sostegno allo sviluppo che integrino la migrazione come fattore di crescita nei paesi di partenza e in quelli di arrivo. Opera delicata e difficilissima, che richiede tempi lunghi, consistenti risorse, capacità diplomatiche e unità d’intenti, che l’Europa esprime sulla carta ma non sul campo. Sotto questo profilo, le sponde del Mediterraneo restano assai più lontane che in passato. 

Note

(1) Per la Riva Nord (RN): Portogallo, Spagna, Francia, Malta, Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Nord Macedonia, Serbia, Albania, Grecia; Riva Est (RE): Turchia, Cipro, Siria, Libano, Giordania, Israele, Territori Palestinesi; la Riva Sud (RS): Western Sahara, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Sudan.Portogallo, Serbia, Macedonia nord, Giordania, Sudan non toccano il Mediterraneo ma per motivi storici, economici o politici “gravitano” su aree mediterranee, o comunque vi sono comprese. (torna al testo)

(2) I dati demografici riportati in questo scritto, quando non è espressamente citati da altra fonte,  sono desunti  da United Nations, World Population Prospects. The 2022 Revision, World Population Prospects – Population Division – United Nations