La Banca Mondiale e le migrazioni internazionali. La Banca Mondiale ha dedicato il suo ultimo Development Report alle migrazioni internazionali. Lo studio, intitolato “Migrants, Refugees and Societies”1, è stato presentato a fine aprile a Washington e affronta diversi aspetti cruciali del fenomeno migratorio. Ne parla in quest’articolo Corrado Bonifazi. l'articolo è tratto dal portale Neodemos e se volete leggere l'originale clickate qui
Il Development Report sulle migrazioni
Lo studio della Banca Mondiale si pone l’obiettivo ambizioso di delineare uno scenario migratorio in cui tutte le parti coinvolte possano ricavare un vantaggio tangibile dagli spostamenti di popolazione, che dovrebbero diventare, sia nei paesi d’arrivo che in quelli di partenza, uno strumento di crescita economica e sociale. Un approccio lontano dai dibattiti politici di diversi paesi, dove molto spesso prevalgono posizioni di basso profilo tese a incassare qualche vantaggio elettorale più che ad affrontare una questione complessa ma anche dalle grosse potenzialità. Secondo la Banca Mondiale, le migrazioni possono infatti diventare un importante strumento di crescita economica e possono contribuire a far aumentare il benessere in tutti i paesi interessati dal fenomeno.
Un radicale cambio di prospettiva che, utilizzando i risultati degli studi e delle ricerche condotte in questi anni, cerca di trovare una risposta al principale nodo problematico dei fenomeni migratori: come è possibile fare in modo che le ricadute positive dei flussi ricadono su tutti gli attori in scena e che, di conseguenza, si riducano i contrasti che inevitabilmente ne scaturiscono? Una situazione che in passato si è registrata in alcuni periodi particolari, come durante la prima globalizzazione tra Ottocento e Novecento soprattutto per le migrazioni transatlantiche o in Europa con i flussi per lavoro dei Trenta Gloriosi. L’obiettivo del rapporto è quello di sviluppare un quadro concettuale e di intervento politico che sia in grado di creare condizioni simili in una situazione, come quella attuale, dove le paure e le resistenze sembrano in molti casi prevalere.
Punto di partenza dello studio è la considerazione che la dinamica demografica sta rendendo sempre più necessarie le migrazioni per tutti i paesi. In quelli ad alto livello di reddito la popolazione sta infatti invecchiando rapidamente; in quelli a reddito medio si avvia a farlo prima che sia raggiunto lo stesso grado di benessere; mentre nei paesi a più basso reddito siamo ancora in pieno boom demografico e la risposta dei sistemi economici è largamente insufficiente ad assorbire le nuove generazioni. Situazioni che nel rapporto vengono esemplificate da tre casi concreti: l’Italia, il Messico e la Nigeria. Il nostro paese, non a caso, è preso come simbolo della prima situazione (Fig. 1), con una popolazione in pieno declino e che avrà nel 2050 molti più anziani che giovani. In Messico, invece, la transizione demografica è ben avviata e il tasso di fecondità totale (TFT) è ormai sceso al di sotto del livello di sostituzione con 1,8 figli per donna, con un impatto ben visibile sulla struttura per età. La Nigeria ha infine ancora un TFT di 5,1 figli per donna e, di conseguenza, la struttura per età al 2050 conserverà pienamente la forma piramidale e, secondo le previsioni delle nazioni Unite, dovrebbe diventare nel 2100, con più di 700 milioni di abitanti, il secondo paese al mondo per popolazione dopo l’India.
La piramide dell'età
La piramide delle età (o della popolazione) è una rappresentazione grafica usata nella statistica demografica per descrivere la distribuzione per età di una popolazione vivente. Solitamente si tratta di due istogrammi disposti simmetricamente attorno all'asse verticale che rappresenta le età (o, più comunemente, le classi di età ad intervalli di 5 anni). In ascissa è indicato l'ammontare della popolazione per ciascuna classe di età (in unità o in percentuale sul totale) e viene riprodotta una volta nel senso ordinario (crescente verso destra) e una volta nel senso opposto (crescente verso sinistra), in modo da distinguere i due sessi.
Dalla forma di una piramide delle età si può dedurre la storia demografica di quasi un secolo (circa 80-90 anni) di una popolazione e l'andamento demografico a cui sta tendendo: forma prettamente piramidale:
- popolazione in crescita;
- piramide tendente a un rettangolo: crescita nulla;
- piramide tendente a un trapezio: decremento.
Confrontando fra loro le singole classi, si potranno osservare improvvisi cali o aumenti dovuti a eventi particolari: cali delle nascite per guerre o altri eventi, immigrazioni o emigrazioni in età lavorativa, squilibri tra uomini e donne nelle stesse fasce di età.
La situazione demografica dei diversi paesi è sempre stata un importante driver delle migrazioni internazionali, ma la situazione appena descritta dimostra come lo diventerà ancora di più nel prossimo futuro. Come sottolinea il rapporto, «… Wealthy countries will need foreign workers to sustain their economies and honor their social commitments to older citizens. Many middle-income countries, traditionally the main sources of migration, will soon need to compete for foreign workers—and many are not ready to do so. Low-income countries have large numbers of unemployed and underemployed young people, but many of them do not yet have skills in demand in the global labor market» (World Bank 2023, p. 2).
A tutto questo va poi aggiunta la spinta alla mobilità che verrà dai cambiamenti climatici e da una situazione internazionale sempre meno stabile, come dimostra l’aggressione russa all’Ucraina e la guerra civile in Sudan.
Uno schema di intervento politico
Per mettere insieme le diverse esigenze e creare un quadro di intervento condiviso e praticabile, gli estensori del rapporto prendono le mosse dalle impostazioni teoriche dell’economia del lavoro e del diritto internazionale per individuare una matrice che colleghi tra loro le qualifiche dei migranti e le motivazioni allo spostamento con i conseguenti obblighi internazionali. Il risultato è esemplificato nella figura 2, in cui l’insieme dei casi possibili è suddiviso in quattro situazioni, incrociando i vantaggi che si possono ricavare da quel tipo di spostamento e la relativa motivazione.
Quando le qualifiche dei migranti sono in sintonia con le esigenze dei paesi d’arrivo i benefici della migrazione superano i costi se, invece, non lo sono i secondi sono maggiori dei primi. La prima situazione riguarda la gran parte dei migranti economici se, a prescindere dalle qualifiche possedute, con il loro spostamento vanno a coprire dei vuoti nel mercato del lavoro del paese d’arrivo.
Un bilancio positivo lo si ha anche nel caso di rifugiati che possiedono competenze utilizzabili nello stato d’accoglienza. La prevalenza dei costi sui vantaggi si ha, invece, per quelli che il rapporto definisce distressed migrants, spesso irregolari, che hanno difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro anche perché la mancanza di titoli di soggiorno li pone ai margini della società. E in questo senso l’esperienza delle regolarizzazioni in diversi paesi, compresa l’Italia, mostra come l’emersione verso la regolarità possa favorire un pieno inserimento nella società d’arrivo.
Un bilancio negativo si verifica anche in gran parte delle migrazioni forzate, in questo caso gli stati sono infatti obbligati dalla normativa internazionale ad accogliere le persone che fuggono da conflitti e persecuzioni. Una situazione, per altro, che riguarda soprattutto paesi a basso e medio reddito che si trovano a garantire gran parte dell’assistenza ai rifugiati e ai richiedenti asilo.
Lo schema proposto ha soprattutto la funzione di individuare le politiche di intervento più opportune. Nei due casi in cui i benefici superano i costi, l’obiettivo non può che essere quello di massimizzare i vantaggi sia per i paesi di partenza che di arrivo. Questi ultimi dovrebbero soprattutto evitare che l’apporto positivo dei migranti non venga adeguatamente considerato, quando invece il loro contributo economico risulta largamente positivo e permette di coprire molti dei vuoti che si aprono nelle basse e nelle alte qualifiche occupazionali. Con attenzione andrebbero però affrontati i problemi di inserimento e di integrazione, che aprono delle aree conflittuali sotto il piano culturale e sociale anche perché i costi del mancato intervento tendono a colpire i settori più svantaggiati delle società d’arrivo.
Più complessi gli interventi nei due casi in cui i costi della migrazione siano maggiori dei benefici. Nel caso dei rifugiati, il rapporto suggerisce di ridurre i costi dell’accoglienza mantenendo però gli standard internazionali di protezione. Quando invece il flusso è composto da migranti economici, la politica ha un compito più difficile e complesso. Il legittimo controllo sulle frontiere non può portare a trattamenti non rispettosi della dignità umana e può scaricarsi sui paesi di transito. L’obiettivo di intervento dovrebbe essere quindi quello di ridurre questo tipo di flussi agendo sullo sviluppo delle aree di partenza.
Conclusioni
Il Rapporto della Banca Mondiale, qui riportato in maniera estremamente sintetica e parziale, rappresenta, con le sue quasi 350 pagine di analisi e approfondimenti, un contributo importante e soprattutto utile per affrontare in maniera consapevole un fenomeno complesso come quello migratorio. Dove spesso prevalgono i toni accessi e gli interventi demagogici a scapito di politiche più attente a valorizzare i numerosi benefici del fenomeno e a intervenire sulle diverse aree problematiche esistenti. L’obiettivo di trasformare un fenomeno controverso in una situazione win-to-win, in cui tutti gli attori del processo riescono a massimizzare i rispettivi vantaggi è sicuramente ambizioso, ma potrebbe diventare un utile punto di riferimento per la politica. Anche perché le tendenze demografiche in atto tenderanno a far aumentare la competizione globale per diverse categorie di lavoratori, mentre fattori climatici e instabilità politica contribuiranno a far crescere la spinta a lasciare forzatamente il proprio paese.
Un quadro che rende sempre più importante una gestione internazionale del fenomeno migratorio per trovare un adeguato bilanciamento tra le diverse esigenze e i vari interessi in campo. La cooperazione bilaterale e quella multilaterale dovrebbero tendere a trasformare le migrazioni in uno strumento di sviluppo globale, sostenendo il processo di crescita dei paesi di origine. Quelli di destinazione dovrebbero, da parte loro, facilitare l’inserimento dei migranti affrontando con decisione quegli aspetti che sollevano preoccupazioni tra i loro cittadini. Dovrebbero anche lasciare maggiori possibilità di accesso al lavoro e ai servizi sociali ai rifugiati e intervenire nel pieno rispetto dei diritti umani per ridurre i movimenti irregolari.
Lo studio della Banca Mondiale è un tentativo solido e ben documentato di cambiare la prospettiva con cui i governi e la politica affrontano la questione migratoria, spostando il dibattitto da una impostazione ideologica in cui la domanda è centrata sulla positività o la negatività del fenomeno a come si può utilizzare per migliorare lo sviluppo globale. Un messaggio di speranza, come viene sottolineato, perché la migrazione non è sempre buona o sempre cattiva, ma quando «it is well managed, (… it) is a powerful force for prosperity with benefits for all: economic migrants, refugees, and those who stay behind, and for origin and destination societies.» (World Bank 2023, p. 15).
Demografo e Dirigente di ricerca del CNR presso l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, di cui è stato direttore dal 2014 al 2018. È stato responsabile del Working Group International Migration in Europe dell’European Association for Population Studies. È uno dei curatori del volume International migration in Europe.