Riforma della cittadinanza: provaci ancora, Italia
Riforma della cittadinanza: provaci ancora, Italia è un articolo è stato tratto integralmente da LaVoce.info ed è a firma di : Chiara Tronchin e Enrico Di Pasquale, due ricercatori della Fondazione Leone Moressa; Chiara ed Enrico sono anche autori dell'articolo Giovani che non lavorano e non studiano apparso su Civitas il 2 luglio 2021.
Si torna a discutere di ius scholae. È molto difficile che la legge possa essere approvata. Eppure permetterebbe di aggiornare una norma vecchia di trent’anni, non più adeguata alla situazione attuale, con comunità ormai radicate nel nostro paese.
alcune definizioni utili: ius scholae, ius soli, ...
Ius Sanguinis
È un'espressione giuridica che indica l'acquisizione della cittadinanza per il fatto della nascita da un genitore o con un ascendente in possesso della cittadinanza. Si contrappone allo ius soli, che indica invece l'acquisizione della cittadinanza per il fatto di nascere nel territorio statale, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori. Attualmente un buon numero degli stati europei, fra cui l'Italia, adottano lo ius sanguinis. I principali paesi europei (Regno Unito, Germania e Francia) applicano forme modificate di ius soli (oltre alla nascita sul territorio dello stato sono richieste diverse condizioni variabili da stato a stato).
Ius soli
È un'espressione giuridica che indica l'acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Si contrappone allo ius sanguinis (o «diritto del sangue»), che indica invece la trasmissione alla prole della cittadinanza del genitore, sulla base pertanto della discendenza e non del luogo di nascita. Quasi tutti i paesi del continente americano applicano lo ius soli in modo automatico e senza condizioni. Tra questi gli Stati Uniti, il Canada e quasi tutta l'America latina.[5] Alcuni paesi europei (Francia, Germania, Italia, Irlanda e Regno Unito) concedono altresì la cittadinanza ius soli, sebbene con alcune condizioni.
Ius Scholae,
Presentata dal deputato 5 stelle Giuseppe Brescia, prevede che possano richiedere la cittadinanza italiana prima dei 18 anni coloro che sono giunti in Italia entro i 12 anni, hanno risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese e hanno completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni. La richiesta può essere effettuata anche da uno solo dei due genitori, o da chi esercita la patria potestà. La discussione sulla proposta di legge, iniziata mercoledì 29 giugno, è stata rimandata alla prossima settimana. Si tratta di una legge attesa da circa un milione di ragazzi e ragazze minorenni che, pur essendo nati in Italia o arrivati qui da bambini, non si vedono ancora riconosciuto lo status di cittadino.
Ius Culturae
Principio del diritto per cui gli stranieri minori acquisiscono la cittadinanza del Paese in cui sono nati e vivono, a patto che ne abbiano frequentato le scuole o vi abbiano compiuto percorsi formativi equivalenti per un determinato numero di anni. I minori stranieri nati nel nostro Paese o arrivati entro i 12 anni di età possono diventare italiani dimostrando di aver frequentato regolarmente almeno 5 anni di percorso formativo. Possono essere uno o più cicli scolastici, oppure corsi di istruzione professionale triennali o quadriennali che diano una qualifica. Nel caso sia la scuola primaria, essa deve essere completata. Si tratta del cosiddetto ius culturae. quando parliamo di Ius soli e ius culturae, non parliamo di migranti, ma di persone nate in Italia e che qui hanno compiuto un ciclo scolastico.
La storia dei tentativi di riforma
Il via libera in Commissione Affari costituzionali della Camera riapre il dibattito sulla riforma della legge sulla cittadinanza, che quindi approderà in aula. Chiariamolo subito: difficilmente la legge vedrà la luce. Considerando che mancano nove mesi alla fine della legislatura (con in mezzo la pausa estiva e il lungo iter della legge di bilancio), è assai improbabile anche solo l’approvazione alla Camera. Figuriamoci il passaggio al Senato.
Tuttavia, è sempre utile tornare a riaccendere i riflettori sulla riforma di una legge che ha 30 anni e che appare quantomeno inattuale, dato che considera “italiano” chi è nato in Brasile, Argentina o Australia da genitori italiani (o a loro volta discendenti di italiani), e che magari non ha mai messo piede nel nostro paese, e “straniero” chi è nato e cresciuto qui, ma è figlio di immigrati.
Già nella legislatura 2008-2013, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Presidente della Camera Gianfranco Fini avevano auspicato l’introduzione del principio dello “ius soli”, vista la crescente presenza di bambini nati in Italia da genitori stranieri. Nel 2013 il tema fu riproposto dalla Ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge, arrivando all’approvazione di una legge alla Camera nel settembre 2015, senza però ottenere mai la ratifica del Senato. In quel caso, si voleva introdurre lo “ius soli temperato”, ovvero la possibilità di richiedere la cittadinanza per i figli di immigrati stabilmente residenti in Italia.
Questa volta si discute di “ius scholae”: avrebbero la possibilità di richiedere la cittadinanza i figli di immigrati (nati in Italia o arrivati entro i 12 anni) dopo aver frequentato almeno 5 anni di scuola. Si tratta di un compromesso al ribasso, perché si vincola la cittadinanza a un periodo piuttosto lungo di frequenza scolastica. Inoltre, come nella proposta precedente, rimane la necessità di fare richiesta, senza introdurre meccanismi automatici, validi invece per il diritto di sangue.
La platea di beneficiari
Considerati i nuovi criteri, non è facile quantificare i potenziali beneficiari. Innanzitutto, bisognerà chiarire se tra i “5 anni di scuola” sono ammessi anche asilo nido e scuola dell’infanzia. Nonostante il Ministero dell’Istruzione li consideri parte del “sistema educativo nazionale”, il testo attuale sembrerebbe escluderli, concedendo la possibilità di richiedere la cittadinanza solo alla fine del ciclo della scuola primaria (11 anni di età).
leggi anche: Donne e immigrate, un doppio svantaggio
La base di partenza è rappresentata dai 574 mila alunni stranieri nati in Italia: saranno loro, pur con tempi diversi a seconda dell’età, a poter richiedere la cittadinanza. Vi si aggiungono i nati all’estero entrati nel sistema scolastico. La platea complessiva, dunque, oscilla tra i 500 mila e gli 800 mila.
Cosa cambierebbe per i “nuovi italiani”
Chi critica la proposta di riforma sostiene che non avrebbe implicazioni pratiche, dato che già oggi i nati in Italia da genitori stranieri possono chiedere la cittadinanza a diciotto anni (ebbene sì, lo ius soli in Italia esiste già!) e quindi possono votare. Inoltre, sempre secondo i critici, anche chi non ha cittadinanza italiana può andare a scuola e lavorare.
In realtà, è vero che la richiesta può essere fatta a 18 anni, ma il responso arriva dopo diversi mesi. Per cui, in quel periodo, il diritto di voto non può essere esercitato. Così come il diritto di partecipare a molti concorsi pubblici o candidarsi alle elezioni, per esempio.
Inoltre, ed è l’aspetto principale, la cittadinanza va oltre le implicazioni pratiche. Si tratta sostanzialmente del riconoscimento del proprio “essere italiano”, dell’essere “uguale” ai propri compagni di classe, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. È quindi un riconoscimento identitario, prima di tutto.
Gli alunni stranieri nella scuola italiana
Oggi, peraltro, esiste un forte divario tra alunni italiani e immigrati, dovuto a molti fattori: il gap linguistico, le condizioni familiari, ma anche le discriminazioni di fatto.
L’Italia è il paese europeo con il più alto tasso di abbandono scolastico tra i giovani immigrati: lo ha fatto il 32,1 per cento dei giovani immigrati in Italia in età 18-24 anni, contro l’11 per cento dei nati in Italia. Il divario è quindi di oltre 20 punti in Italia tra autoctoni e nati all’estero, contro i 13,7 punti della media Ue.
Rimane anche una forte differenza tra alunni italiani e stranieri nella scelta della scuola superiore. Tra gli italiani, il 52 per cento frequenta un liceo. Tra gli stranieri il 30,9 per cento. Al contrario, il 30,8 per cento degli alunni stranieri sceglie un istituto professionale, contro il 17,1 per cento degli italiani.
Questo riflette una sorta di “determinismo sociale”, presente anche nel mercato del lavoro, per cui gli stranieri sono segregati nelle professioni meno qualificate e meno pagate.
Nel resto d’Europa
In tutto il mondo, la normativa che regola la cittadinanza è un mix tra “ius soli” e “ius sanguinis”, con equilibri differenti frutto della storia di ciascun paese.
Germania e Belgio, per esempio, sono tra i paesi più “generosi”. Berlino riconosce automaticamente la cittadinanza a condizione che uno dei due genitori abbia un permesso di soggiorno permanente (da almeno tre anni) e che i genitori risiedano nel paese da almeno 8 anni. Situazione simile in Belgio, dove la condizione per la concessione (automatica) della cittadinanza è che almeno uno dei due genitori sia nato nel paese o vi abbia vissuto almeno 5 degli ultimi 10 anni. Lo stesso principio (ius soli temperato) vige in altri tre stati (Portogallo, Irlanda e Regno Unito), pur con requisiti diversificati.
Altri paesi prevedono un “doppio ius soli”, ovvero concedono la cittadinanza se, oltre al minore, anche uno dei genitori (stranieri) è nato nel paese. È il caso, per esempio, di Francia e Paesi Bassi, in cui la storia coloniale ha portato a un modello di cittadinanza complesso, ma sostanzialmente inclusivo.
I meccanismi più rigidi, invece, sono quelli di Austria, Italia e Danimarca.
Chi (da anni) richiede la riforma in Italia chiede sostanzialmente di prendere atto che la situazione nel nostro paese è profondamente cambiata rispetto al 1992, anno a cui risale la normativa ancora in vigore. All’epoca, l’Italia aveva un’esperienza di immigrazione ancora embrionale (basti pensare che la prima normativa organica sull’immigrazione, la legge Martelli, è del 1990). Inoltre, per tutti gli anni Novanta l’immigrazione in Italia è stata caratterizzata prevalentemente dall’arrivo di lavoratori adulti, che solo successivamente hanno chiesto il ricongiungimento familiare.
La presenza di minori nati in Italia da genitori stranieri (le “seconde generazioni”) è dunque un fenomeno più recente, che non poteva essere previsto dalla normativa del 1992. La stabilizzazione della presenza immigrata in Italia, con alcune comunità ormai radicate da almeno due decenni, ha portato a uno scenario molto diverso, che richiederebbe dunque un adeguamento normativo.
ma gli Italiani che cosa pensano dello ius scholae?
(a cura della redazione Civitas)
Il 22 agosto La Repubblica ha pubblicato i risultati di un sondaggio sul tema dei migranti e dello ius scholae. Il Sondaggio è stato condotto, per il quotidiano italiano, da Demos & PI. La rilevazione è stata attuata nei giorni 29 luglio - 2 agosto 2022: 1000 persone intervistate, con il metodo CAWI, da Demetria. Il sondaggio copre un ampio spettro di domande e cerca di comprendere l'atteggiamento degli italiani sul tema dell'accoglienza (53% contrari); alcune domande si riferiscono allo ius scholae e i risultati sono un po' diversi, tanto che il quotidiano intitola l'articolo
Il futuro è nello Ius scholae gli italiano lo promuovono.
Alla domanda "lei sarebbe favorevole o contrario a dare la cittadinanza ai figli di immigrati, nati in Italia, o arrivati in Italia prima dei 12 anni, che abbiano completato un percorso scolastico di 5 anni", la risposta è
66 34
favorevole contrario
naturalmente l'atteggiamento varia anche sensibilmente al mutare dell'orientamento politico: 92 % favorevoli nel PD, 77 in Forza Italia e M5s, 44 Fratelli di Italia e 39 Lega
Demos & Pi
Demos & Pi è un istituto di ricerca, fondato da Ilvo Diamanti, che opera nell'ambito della ricerca politica e sociale attraverso indagini di carattere locale, nazionale ed internazionale. Le indagini realizzate mirano studiare gli orientamenti, le opinioni, i comportamenti della società. Una particolare attenzione è riservata ad alcune dimensioni, considerate topiche all'interno di questa tradizione di studi: il rapporto fra cittadini, istituzioni e politica; il capitale sociale; la solidarietà, la cittadinanza e l'integrazione; l'identità e i bisogni territoriali; gli atteggiamenti e i comportamenti pubblici e privati.
Inoltre, Demos & Pi cura la realizzazione di importanti osservatori ricorrenti, divulgati attraverso rapporti periodici, al fine di monitorare e aggiornare l'evoluzione dei fenomeni di interesse. La continuità delle indagini è assicurata grazie alla collaborazione di importanti partner strategici: ANCC-COOP, Il Gazzettino, La Repubblica, Fondazione Unipolis, Intesa Sanpaolo, GEDI Gruppo Editoriale.
Demos & Pi svolge, inoltre, indagini ad hoc per committenti pubblici e privati su temi specifici, legati agli ambiti di interesse dell'istituto.
Tra Ius Scholae e Ius Sanguinis, un milione di minori resta senza cittadinanza
19 luglio 2022 - HuffPost di Alessandro Bechini - responsabile dei Programmi in Italia di OxfamInvece di arrampicarsi sugli specchi di un’improbabile e antistorica difesa della razza italica, si cerchi, insieme destra e sinistra, di dare una risposta ai bambini che sono italiani in tutto e per tutto e che continuano a non esserlo soltanto per il nostro ordinamento. Uno degli argomenti più divisivi nel dibattito politico degli ultimi anni è quello della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri o cresciuti nel nostro paese, essendovi arrivati da piccolissimi. Ogni volta che si tenta di affrontare l’argomento con proposte di legge o semplicemente con articoli o riflessioni, parte la grancassa della propaganda che accusa i promotori delle stesse di benaltrismo (“non sono queste le priorità dei cittadini”), di ingenuità (“se facciamo così ci troviamo invasi dagli immigrati che faranno la fila per venire a fare figli in Italia”) o di sostegno al complotto mondiale (“se approviamo la cittadinanza facile, supportiamo il disegno di sostituzione etnica”). L’ultima proposta di legge che ha suscitato lo stesso perenne dibattito, con gli stessi argomenti, riportati qui sopra, è quello dello Ius Scholae: il minore che ha completato un ciclo di studi può chiedere la cittadinanza italiana. La prima domanda a cui varrebbe la pena di rispondere è: perché serve una legge per dare la cittadinanza ai minori stranieri? E come funziona adesso? I minori nati in Italia da genitori stranieri sono oltre un milione. Sono i bambini che siedono nel banco accanto ai nostri figli, che giocano con loro, che parlano il nostro stesso dialetto (mia figlia aveva alle elementari una fantastica bambina nata da genitori senegalesi che dava ai suoi compagni lezioni di dialetto livornese...). (continua a leggere)
Ricercatrice della Fondazione Leone Moressa. Esperta di statistica, analisi quantitativa e qualitativa, dal 2014 partecipa alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione (ed. Il Mulino). Nel 2015 ha fatto parte della commissione di studio del ministero dell’Interno che ha portato alla redazione del Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Collabora con Lavoce.info e Neodemos.it.