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Lo studio allunga la vita o la salva?

da | 4 Giu 2021 | educazione, mortalità, università, welfare | 0 commenti

Lo studio allunga la vita o la salva?

Lo studio allunga la vita o la salva?. Leggete l'articolo scritto da Stefano Mazzuco per Neodemos

Lo studio allunga la vita o la salva?articolo tratto da Neodemos

Lo studio allunga la vita o la salva?
I dati recentemente pubblicati dall’Istat sulla mortalità per titolo di studio hanno confermato (si veda, ad esempio, l’articolo di Zarulli nel 2013),  l’esistenza di rilevanti diseguaglianze di salute tra le popolazioni con diverso titolo di studio. Il commento quasi unanime alla loro pubblicazione è stato “lo studio allunga la vita”, specialmente per gli uomini, visto che la differenza di speranza di vita alla nascita tra i meno istruiti e i laureati è di circa 5 anni, mentre è solo di due anni tra le donne.

Sembrerebbe quasi che le diseguaglianze di salute si riducano ad una vecchiaia più breve per chi ha un titolo di studio basso, tanto da suggerire che i meno istruiti si ritrovino a pagare le pensioni per i più istruiti.

Tuttavia, un’analisi più approfondita di questi dati mostra come le diseguaglianze di mortalità si concentrino in particolare nelle età giovani, come si può notare dai seguenti grafici. Le differenze maggiori si riscontrano nelle età giovani e diventano sempre meno evidenti con l’avanzare dell’età. Va comunque precisato che le differenze mostrate dal grafico sono differenze relative, osservando le differenze assolute troveremmo comunque disparità maggiori dove la mortalità è più elevata. Alcuni calcoli (per i dettagli si veda Zanotto et al 2016) ci permettono di quantificare meglio il divario esistente per i vari intervalli di età.

Per i maschi senza titolo o con licenza elementare il 3% dei decessi si concentra tra i 25 e i 44 anni, il 13% tra i 45 e i 64 e l’83% oltre i 65 anni. Queste percentuali diventano per i laureati 1, 6 e 94%, con una formidabile concentrazione nelle età anziane.

 

Lo studio allunga la vita o la salva?

Per le donne, invece, le differenze sono minori: tra quelle senza titolo o con licenza elementare il 91% dei decessi avviene oltre i 65 anni, tra le laureate il 95%. In sostanza, su cento uomini laureati, 94 arrivano ai 65 anni mentre su cento uomini con bassa istruzione, solo 83 arrivano a questa età.

Non si tratta quindi solo di vivere una vecchiaia più o meno breve, ma di arrivarci alla vecchiaia, visto che per gli uomini con titolo di studio basso questo traguardo non è così scontato. Quindi è parzialmente vero che i meno istruiti pagano le pensioni per i più istruiti, in molti casi i meno istruiti non riescono nemmeno a finire di pagare i contributi.

 

Titolo di studio e speranza di vita

Ma proviamo a fare un altro conto: immaginiamo di riuscire a rendere il livello di mortalità prematura – intendiamo per mortalità prematura quella avvenuta prima dei 65 anni – dei meno istruiti pari a quello dei laureati. Di quanto si ridurrebbe la differenza di speranza di vita? I risultati sono riportati nella tabella seguente. In questo caso la differenza tra meno istruiti e più istruiti è di 3 anni e mezzo per gli uomini e un anno e mezzo per le donne. Quindi, riducendo la mortalità prematura, ridurremmo in modo significativo anche le diseguaglianze di mortalità.

Lo studio allunga la vita o la salva?

Le cause

Ma quali sono le cause di queste differenze di mortalità in età adulta? Dati precisi non ne abbiamo però sappiamo quali sono le principali cause di morte tra le fasce d’età 25-44 e 45-64 anni. Come si può notare, si tratta di decessi su cui si può fare prevenzione – non solo per le morti per incidenti stradali e suicidi ma anche per tumori all’apparato respiratorio e tumori al seno. Questo tipo di intervento aiuterebbe a ridurre le diseguaglianze di salute, perché gli effetti si concentrerebbero su chi è maggiormente colpito da queste cause di morte, i meno istruiti.

Lo studio allunga la vita o la salva?

I costi

Poiché la maggior parte delle diseguaglianze si concentra nelle età giovani, cercare di ridurle, non solo è doveroso eticamente, ma potrebbe risultare vantaggioso anche economicamente per tutto il paese. A questa stessa conclusione sono già arrivati, ormai da qualche anno, nel Regno Unito: nel 2010, su incarico governativo, il professor Michael Marmot ha prodotto un rapporto  in cui si scrive chiaramente che “le azioni intraprese per ridurre le diseguaglianze di salute portano benefici economici”. Infatti, le diseguaglianze di salute “portano a perdere produttività, entrate fiscali e a far aumentare i costi di assistenza medico sanitaria” e questo vale, a maggior ragione, se queste diseguaglianze sono concentrate nelle fasce di età giovani. Possiamo, quindi, concludere che un’azione mirata alla riduzione di queste diseguaglianze porterebbe più benefici che costi.