Referendum e SPID. L’introduzione della firma digitale ha aperto delle prospettive inaspettate alla promozione dei referendum: secondo una stima di maggio dell’AGID, l’Agenzia per l’Italia digitale, la possiedono infatti circa 20 milioni di persone, più di un terzo di tutta la popolazione. Il suo utilizzo si è diffuso anche grazie ad alcune iniziative prese dal governo durante la pandemia, come ad esempio il cosiddetto cashback di stato.
«La firma digitale ha finalmente dato un senso anche politico ai social», ha detto il presidente dell’associazione Luca Coscioni, Marco Perduca, lasciando intuire che le campagne referendarie saranno promosse sempre più sui social. «Sarà molto più facile raggiungere il quorum», ha detto al Sole 24 Ore l’ex segretario dei Radicali Gianfranco Spadaccia, secondo cui però «i banchetti non scompariranno mai: la gente vuole conoscere, parlare con i leader, confrontarsi di persona, partecipare per strada. Era vero per noi negli anni Settanta, e credo lo sarà sempre».
Questo contenuto ha attinto da alcuni articoli apparsi in rete sul portale Il Post, in particolare fa riferimento a Con le firme digitali è troppo facile organizzare i referendum? del 22 settembre 2021. (leggi articolo originale)
vedi anche su Civitas referendum da oggi si firma anche on line
La velocità e la relativa facilità con la quale nelle ultime settimane centinaia di migliaia di persone hanno firmato online per sostenere i referendum sull’eutanasia e sulla cannabis hanno animato un dibattito sulle prospettive, le opportunità e anche i possibili rischi di questa modalità di raccolta delle firme digitali, di introduzione molto recente. Le domande, a cui hanno provato a rispondere con varie argomentazioni e conclusioni costituzionalisti ed esperti di diritto, è come cambierà lo strumento referendario, quali vantaggi ne trarrà la partecipazione dei cittadini alla vita democratica e anche se con la nuova possibilità delle sottoscrizioni online non sia diventato “troppo semplice” proporre referendum abrogativi.

La maggior parte dei costituzionalisti e degli esperti di diritto sembra comunque piuttosto tranquilla e fiduciosa. Anche se la fase della raccolta firme è stata accelerata e semplificata, ce ne sono altre successive che sono rimaste uguali e che garantiscono un controllo istituzionale sulle proposte referendarie. Secondo Cassese i filtri rappresentati dalla necessaria approvazione del quesito da parte della Corte costituzionale e della Cassazione «dovrebbero salvarci da una pioggia di referendum». Organizzare un referendum rimane poi un iter complicato, lungo e costoso, sostenibile probabilmente soltanto da enti e associazioni esperte e organizzate, come per esempio quelle legate ai Radicali.
Proprio in questi giorni per esempio si è attivata, con poca concretezza, una campagna per organizzare un referendum per abrogare il Green Pass. Non se ne farà probabilmente niente, perché non sembra essere molto organizzato e perché anche procedendo molto velocemente si voterebbe molti mesi oltre la scadenza prevista attualmente per la certificazione (fine 2021). Ma proprio per questo è stato citato come esempio della possibilità che i referendum siano usati come strumenti di consenso elettorale, più che come mezzi per esercitare la democrazia diretta.
L’emendamento sulla raccolta firme per i referendum in modalità digitale prevede una norma transitoria per cui i comitati promotori hanno potuto raccogliere le firme senza alcuna necessità di intervento da parte di organismi pubblici, attraverso cioè una piattaforma predisposta da un ente certificatore convenzionato con l’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid). I costi della certificazione (ogni firma digitale costa 1,05 euro) sono stati sostenuti dai comitati stessi, che hanno infatti invitato le persone non solo a firmare, ma anche a fare, contestualmente, una donazione.
Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che è la principale promotrice dei due referendum su cannabis e eutanasia, ha spiegato che l’impegno organizzativo ed economico per le due iniziative ha superato gli 800 mila euro in totale e che, per il referendum cannabis, in una settimana sono stati raccolti 145 mila euro dei circa 500 mila necessari.

Nel dibattito sui possibili correttivi necessari per non snaturare lo strumento referendario, una delle principali proposte è stata quella di aumentare il numero di firme necessarie, modifica che andrebbe comunque attuata attraverso una riforma costituzionale: l’obiettivo sarebbe quello di ristabilire le proporzioni del 1948.
Referendum e SPID: il parere di alcuni costituzionalisti

La proposta di alzare il numero di firme necessario per indire un referendum abrogativo non è comunque nuova né direttamente conseguente all’introduzione delle sottoscrizioni online: come spiegato da Pagella Politica, un dibattito di questo tipo va avanti da più di vent’anni e in Parlamento sono state fatte diverse proposte per aumentare la soglia o per sostituirla con una soglia percentuale, per esempio il 2 per cento degli aventi diritto di voto. Stefano Ceccanti, giurista e deputato del Partito Democratico, ha suggerito per esempio di portare a 800 mila le firme necessarie, ma circolano anche cifre diverse.
Il secondo correttivo al sistema referendario di cui si discute sarebbe quello di accompagnare l’innalzamento del numero delle sottoscrizioni con un abbassamento del quorum di validità del referendum. Sempre Ceccanti ha proposto di abbassarlo alla metà più uno degli elettori che hanno votato alle ultime elezioni politiche, perché la metà più uno degli aventi diritto al voto attualmente stabilita è, secondo lui, eccessiva. E ha fatto un esempio: «Se alle precedenti elezioni politiche avesse votato il 76 per cento dell’elettorato, il quorum potrebbe essere del 38 per cento».
Prima dei referendum del 2011, gli ultimi a raggiungere il quorum e quindi a essere validi, la volta precedente risale al 1995, quando si votò tra le altre cose sulle rappresentanze sindacali, sulla legge elettorale nei comuni e sulla privatizzazione della Rai.
La terza e ultima modifica – per la quale Ceccanti ha presentato un progetto di legge – è quella di anticipare il controllo di costituzionalità del quesito da parte della Consulta dopo la raccolta delle prime 100 mila firme. Attualmente il giudizio di legittimità arriva solo alla fine della raccolta delle firme e rischia di «frustrare» le istanze dei richiedenti. Come ha spiegato Francesco Clementi, costituzionalista e docente di Diritto Pubblico Comparato all’università di Perugia, l’anticipo eviterebbe «che una valanga di firme, pure validamente raccolte, finisca nel nulla perché il quesito alla fine non è ammissibile».

Sandro Stajano, che dirige il dipartimento di Giurisprudenza all’università Federico II di Napoli, ha a sua volta detto che «se l’intendimento di aumentare il numero delle firme è di rendere più difficile l’istituto del referendum non sarebbe male. Nell’attuale temperamento vi è un eccessivo ricorso anche su temi sensibili a uno strumento, secondo me troppo radicale, perché tenta una soluzione semplice a problemi complessi».

Riccardo Magi – presidente e deputato di +Europa e firmatario dell’emendamento al decreto Semplificazioni sulla firma digitale – ha fatto notare che se il dibattito parte «dal paventato squilibrio tra “popolo” e “parlamento”, a danno di quest’ultimo» è un dibattito «mal posto». Dovrebbe partire, dice, «dall’unico reale e storico squilibrio, che è a danno dell’iniziativa popolare». E ancora: «Questo successo, legato anche all’innovazione della firma digitale, sta sollevando un dibattito sul futuro dell’istituto referendario. Ben venga, ma paventare lo “squilibrio tra popolo e parlamento” a danno di quest’ultimo non è corretto se non si riconosce che fino ad oggi è stata svuotata di valore e stracciata l’iniziativa legislativa popolare prevista dalla Costituzione».


Questo ha immediatamente scatenato reazioni preoccupatissime di chi dice di temere il superamento della democrazia rappresentativa a favore di quella diretta. Ora, appare piuttosto evidente come questo sia uno scenario irrealizzabile, dato il numero e la complessità delle decisioni che devono essere assunte. Esso sembra essere agitato, quindi, al fine di chiudere ancora di più gli spazi di diretta partecipazione popolare, già resi molto angusti da una serie di fattori, che vanno dall’incapacità dei partiti di funzionare (e quindi di essere gli strumenti con cui i cittadini concorrono a determinare la politica nazionale) a leggi elettorali che rendono sempre meno influente la scelta degli elettori, a ostacoli all’utilizzo degli strumenti di democrazia diretta, come l’iniziativa legislativa popolare e il referendum. (continua su Huff Post del 12 ottobre 2021)
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