Giovani che non lavorano e non studiano. in Italia è record di Neet, siamo i peggiori d'Europa. La condizione dei giovani italiani appare largamente deficitaria nel momento in cui la si confronta con quella dei loro coetanei degli altri paesi dell’Unione Europea. È la triste considerazione che emerge dai dati sull’istruzione e sull’occupazione. Ce ne parlano Enrico Di Pasquale e Chiara Tronchin.
articolo tratto da Neodemos
Laureati e abbandoni scolastici
Già un anno fa avevamo messo in evidenza le dinamiche che in Europa hanno portato un aumento dei flussi migratori di giovani dal Sud al Nord del continente. L’Italia, ad esempio, ha visto emigrare 320 mila giovani tra i 20 e i 34 anni tra il 2009 e il 2018 (235 mila se consideriamo il saldo con i giovani italiani rientrati). In particolare, il numero di giovani emigrati dall’Italia era sotto quota 20 mila l’anno fino al 2011 ma ha superato quota 40 mila a partire dal 2016.
Alla base di questo fenomeno vi è, indubbiamente, un divario in termini di opportunità tra l’Italia e gli altri paesi europei, evidenziato (impietosamente) da alcuni indicatori.
I primi due indicatori considerati sono quelli contenuti nella Strategia Europa 2020, il piano d’azione varato nel 2010 dalla Commissione Ue con l’obiettivo di uscire dalla crisi economica perseguendo una crescita “intelligente, sostenibile e inclusiva”. Il piano prevedeva misure relative all’occupazione, la ricerca e l’innovazione, il cambiamento climatico e l’energia, l’istruzione e la lotta contro la povertà. Nella sfera dell’istruzione erano presenti due indicatori: la percentuale di popolazione in età 30-34 anni con istruzione terziaria (livello ISCED 5-8, in una scala da 0 a 8) e il tasso di abbandono scolastico (si considera chi, tra la popolazione 18-24 anni, ha abbandonato prematuramente un percorso di studi).
Il primo obiettivo era di portare sopra il 40% la popolazione europea in età 30-34 in possesso di un titolo di laurea (Fig 1). L’obiettivo italiano era molto più basso (26%), tenendo conto del livello di partenza inferiore rispetto alla media. Sia a livello europeo che a livello italiano l’obiettivo è stato raggiunto, ma il gap tra l’Italia e la media Ue 28 è rimasto sostanzialmente invariato nell’ultimo decennio: 13,9 punti nel 2010, 14 nel 2019. Osservando il ranking, infatti, l’Italia si colloca in fondo alla classifica (fa peggio solo la Romania), con performance vicine a quelle dei paesi dell’Est.
Situazione non molto diversa per il tasso di abbandono scolastico (Fig 2). In questo caso l’obiettivo europeo (scendere sotto il 10%) non è stato ancora raggiunto, mentre l’Italia lo ha acquisito già nel 2014 (sotto quota 16%), assottigliando il divario tra Italia ed Ue 28 (passato da 4,7 a 3,2 punti). Anche in questo caso, tuttavia, l’Italia si colloca agli ultimi posti del ranking europeo, assieme ai Paesi dell’Est. In questo caso abbiamo delle sorprese nella parte alta della classifica (ai primi posti Croazia, Lituania, Grecia), mentre l’Italia si colloca in 24^ posizione, (significativamente) tra Bulgaria e Ungheria.
Occupazione e Neet
Per approfondire ulteriormente le cause del divario tra Italia e media europea, è utile osservare gli indicatori occupazionali, in particolare tasso di occupazione e tasso di NEET (in entrambi i casi riferiti alla fascia d’età 25-29 anni).
Il tasso di occupazione giovanile europeo ha subito una lieve flessione tra il 2010 e il 2013 (-1,8 punti), per poi risalire costantemente e arrivare al 76,0% nel 2019 (Fig 3). Il valore italiano, invece, ha perso ben 7 punti tra il 2010 e il 2014 e, nonostante una progressiva risalita, non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi, attestandosi al 56,3% nel 2019. Ciò significa che il divario tra Italia e Ue 28 è addirittura aumentato, passando da 13,6 punti nel 2010 a 19,7 punti nel 2019. Questo fa sì che l’Italia sia fanalino di coda nel ranking europeo, ben al di sotto non solo della media europea ma anche dei penultimi (Grecia: 62,2%, +5,9 punti rispetto all’Italia) e ai terzultimi (Spagna: 67,7%, +11,4 punti).
Un discorso analogo vale per il tasso di NEET, ovvero giovani “scoraggiati” che non studiano e non lavorano (Fig 4). Sebbene in questa definizione rientrino situazioni molto diverse tra loro (inclusi, ad esempio, figli di famiglie facoltose, giovani lavoratori impegnati nell’economia informale, giovani casalinghe, soggetti in situazioni di marginalità, soggetti in transizione tra studio e lavoro), questo indicatore rappresenta un campanello d’allarme non indifferente.
A livello europeo questo valore ha avuto un lieve aumento tra il 2010 e il 2013, per poi calare progressivamente. In Italia, invece, ha avuto un forte aumento nel periodo della crisi (2010-2014); nonostante sia successivamente iniziato un trend decrescente, la percentuale di NEET è ancora superiore rispetto al livello del 2010. Anche in questo caso il divario con l’Ue 28 si è accentuato, passando da 7,5 a 13,1 punti. Inoltre, dovrebbe preoccupare il fatto che solo Italia e Grecia presentano valori nettamente superiori alla media, mentre gli altri paesi (compresi quelli dell’Est) sono meno distanziati. bisogna pur cominciare.
Di seguito riportiamo una carta tematica tratta dal portale dell'università di Oxford Our World in Data (se non conosci i grafici di Our World in Data vedi l'articolo che spiega le modalità di utilizzo)
Percentuale di giovani che non frequentano la scula, non lavorano e non sono in formazione, dal 1994 al 2020
Per concludere
Questi dati rendono molto bene la dimensione del problema. Sintetizzando all’estremo, possiamo affermare che l’Italia sia tra i paesi europei con meno opportunità per i propri giovani. Ciò determina un forte scoraggiamento da parte dei giovani stessi, come dimostra l’alto tasso di NEET, e una forte propensione ad emigrare.
Inoltre, non va dimenticata la questione demografica, che vede l’Italia tra i paesi più anziani al mondo. Nel 2019, ad esempio, l’età media in Italia era 46,7 anni, contro i 43,3 della media Ue28; la popolazione giovanile (15-29 anni) rappresentava il 15,1% della popolazione in Italia, contro il 16,9% della media Ue28.
Siamo dunque un paese con sempre meno giovani (per l’invecchiamento della popolazione e per l’emigrazione) e con scarse opportunità per coloro che rimangono. Se in passato la politica ha spesso puntato il dito contro i giovani (“bamboccioni”, “schizzinosi”, ecc.), sarebbe invece il momento di affrontare le cause strutturali del loro malessere, cominciando ad esempio dal ridurre il gap di opportunità con il resto d’Europa. I risultati non saranno immediati, naturalmente, ma bisogna pur cominciare.
Neet: la valutazione Eurostat aggiornata a fine 2022 (*)
L’Unione Europea si sta impegnando per ridurre il tasso di giovani NEET tra i 15 e i 29 anni al 9% entro il 2030. In tutti gli Stati membri dell'UE sono state riscontrate ampie variazioni nel 2022 quando si sono esaminati i tassi di NEET per la fascia d'età oggetto dell'obiettivo. I tassi più bassi erano già al di sotto dell'obiettivo del 9,0% e si registrano nei Paesi Bassi, in Svezia, a Malta, in Lussemburgo, in Danimarca, in Portogallo, in Slovenia, in Germania e in Irlanda; lo stesso valeva per l'Islanda e la Norvegia. Questi Paesi hanno quindi raggiunto l'obiettivo a lungo termine dell'UE per il 2030 nel 2022 o prima.
gli ultimi della classe
Nove Stati membri hanno registrato tassi di NEET superiori alla media UE dell'11,7% nel 2022. Tra questi, i tassi più alti sono stati registrati in Italia e Romania, dove il 19% o più di tutti i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni non aveva né un lavoro né un'istruzione o una formazione. Un confronto tra i due Stati membri dell'UE con i tassi più alti e più bassi di NEET nel 2022 rivela che la percentuale di giovani adulti NEET era 4,7 volte più alta in Romania che nei Paesi Bassi.
i miglioramenti più consistenti
La quota complessiva di NEET è diminuita nell'UE di 4,3 punti percentuali (pp.) tra il 2012 e il 2022. Tra gli Stati membri dell'UE, la riduzione maggiore dei tassi di NEET (in termini di punti percentuali) tra il 2012 e il 2022 si è registrata in Irlanda (-12,9 punti percentuali), seguita da Grecia (-11,4 punti percentuali), Bulgaria (-9,6 punti percentuali) e Spagna (-9,5 punti percentuali). Ci sono stati anche due Stati membri che hanno registrato un aumento dei tassi di NEET dal 2012: Austria (0,9 punti percentuali) e Romania (0,5 punti percentuali).
(*) a cura della redazione
Giovani che non lavorano e non studiano
a cura della redazione di Civitas
Istat, giovani in difficoltà, 1,7 milioni di Neet
7 luglio 2023 - Ansa
Gli indicatori del benessere dei giovani, in Italia, sono ai livelli più bassi in Europa e, nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione, 4 milioni e 870 mila persone. Secondo l'Istat, la dimensione con maggiori difficoltà è quella di istruzione e lavoro. Inoltre circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). La quota di Neet cala fino a tornare a un livello prossimo al minimo del 2007, ma resta sopra la media Ue di oltre 7 punti e più bassa solo a quello della Romania.Il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri (28,8%). In Sicilia i sono quasi un te... (continua a leggere)
Un giovane su quattro non studia né lavora: un’emergenza sociale e politica da affrontare
8 marzo 2022 - HuffPost - Antonio Calabrò
Come uscirne? È necessario cambiare strada. E destinare le risorse previste dal Pnrr secondo le indicazioni del Recovery Plan della Ue alle nuove generazioni, insistendo su formazione di qualità, rapporto scuola-lavoro, valorizzazione degli istituti tecnici normali e superiori. l lavoro e i giovani in Italia. Un mondo di divari, una prospettiva di crescente degrado. E dunque un drammatico rischio proprio per le prospettive di sviluppo dell’intero Paese. Un rischio, ancora, che non riguarda solo l’economia, ma più in generale l’intero assetto sociale e, naturalmente, la qualità stessa della nostra democrazia. C’è un nesso forte tra partecipazione politica, senso di responsabilità civile verso la comunità e occupazione (come indica, già nell’articolo 1, la Costituzione). E troppo a lungo il problema è rimasto senza risposte. (continua a leggere)
Giovani e lavoro: il piano del Governo per ridurre i Neet in Italia
20 gennaio 2022 - Il Sole 24Ore - Andrea Carli
Il ministro per le Politiche giovanili Fabiana Dadone ha annunciato di aver firmato il decreto che vara le misure sui ragazzi inattivi. Un “Piano Neet” del Governo, formalizzato da un decreto congiunto Lavoro-Politiche giovanili, che punta a ridurre gli oltre tre milioni nella fascia di età 15-34 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. L’obiettivo è ridurre l’inattività dei Neet tramite degli interventi suddivisi in tre macro fasi: emersione, ingaggio e attivazione. Nel 2016 l'allora presidente della Bce, Mario Draghi, parlò di “lost generation” per definire un fenomeno socio-economico che richiede un forte intervento politico. Gli strumenti sulla base dei quali sviluppare queste fasi sono Garanzia Giovani rinforzata, Sportelli Giovani nei Centri per l'impiego, una campagna informativa itinerante del Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale, un sup... (continua a leggere)
Giovani che non lavorano e non studiano: siamo i peggiori d'Europa
venerdì 11 Ottobre 2019 - il Gazzettino - Michela Poi
Non studiano, non lavorano, non seguono alcun corso di formazione. In pratica, trascorrono le giornate tra letto e divano. È l'esercito dei Neet, acronimo inglese per not in education, employment or training e l'Italia ne è piena. Il quadro emerso dalla ricerca Il silenzio dei Neet. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio realizzata da Unicef in base agli ultimi dati Istat è a dir poco allarmante: il 23,4% dei ragazzi italiani compresi tra i 15 e 29 anni risulta inattivo (2.116.000 persone). Il confronto con l'Europa è impietoso: la media negli altri Paesi è del 12,9%. La maggior parte dei Neet si concentra al sud Italia, soprattutto in Sicilia dove la percentuale è del 38,6%. Peggio solo la Calabria (36,2%) e la Campania (35,6%). Al nord la situazione migliora sensibilmente e la percentuale scende al 15,5%. I millennials, i giovani che vanno dai 25 ai 29 anni, sono la categoria più colpita: il 47% di loro è nullafacente. A seguire ci sono i ragazzi tra i 20 e i 24 anni (38%). In ultimo i centennials, la fascia di età che va dai 15 ai 19 anni (15%). Il dato che colpisce di più, però, è che la maggior parte di chi rimane a casa a guardare la televisione invece di cercare lavoro, ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore (49%). L'11% è addirittura laureato ... (continua a leggere)
È ricercatore della Fondazione Leone Moressa. Si occupa di immigrazione e di euro-progettazione, in particolare di temi relativi a integrazione socio-economica, associazionismo, formazione e comunicazione. Dal 2013 partecipa alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione (ed. Il Mulino). Collabora con Lavoce.info e Neodemos.it.