Le tappe del costituzionalismo
Il costituzionalismo moderno nasce dalle grandi rivoluzioni (la Glorious Revolution del 1688-89, la Rivoluzione americana del 1776, la Rivoluzione francese del 1789) e si sviluppa nel corso dell’Ottocento liberale (sotto la spinta delle rivoluzioni europee del 1848). Si fonda sulla autonomia della sfera politica da quella religiosa, sulla separazione dei poteri dello stato – legislativo, esecutivo e giudiziario – e sull’affermazione dello stato di diritto – ovverosia che l’azione dei pubblici poteri si deve svolgere in base alla legge. Il costituzionalismo si arricchisce a partire dagli anni Quaranta del Novecento, dopo la crisi economica degli anni Trenta e la perdita di alcune delle garanzie democratiche con i totalitarismi. I punti cardine su cui è imperniata la sua evoluzione sono l’affermazione dell’idea di cittadinanza e la diffusione del controllo di costituzionalità.
L’idea di cittadinanza
Il primo pilastro del costituzionalismo attiene al rapporto tra governati e governanti. L’idea di partecipazione alla vita politica, presente già nella democrazia ateniese, era andata completamente perduta con l’organizzazione feudale medievale: non cittadini ma sudditi, rigidamente distinti in ceti. Nella monarchia assoluta, la prima forma che lo stato moderno ha assunto (nel momento in cui il potere politico dei princeps si è reso autonomo da papato e impero, con il Trattato di Vestfalia del 1648), la legittimazione del sovrano discendeva direttamente da Dio, al monarca erano riconducibili tutti i poteri e i suoi interlocutori erano solamente i membri dell’aristocrazia e del clero.
Proprio questo carattere dell’ancien régime fu messo in discussione dall’illuminismo. Le rivendicazioni della borghesia miravano a ottenere i diritti di libertà dallo stato (in primis diritto alla vita e alla proprietà) e il diritto di essere rappresentati nell’Assemblea (diritto di voto). La rivendicazione era, dunque, di essere riconosciuti come cittadini, titolari di diritti e doveri e fonte di legittimazione del potere.
Con la legittimazione legale del potere, espressione della borghesia produttiva e colta (il “terzo stato” che si faceva interprete dello spirito della Nazione), anche lo stato ha cambiato forma: si parla di stato liberale, fondato su una rigida separazione dei poteri e sulla loro sottoposizione alla legge votata dall’assemblea rappresentativa. Si trattava, però, di uno stato monoclasse: la base sociale non era ancora il popolo ma la classe borghese egemone.
Dai principi liberali ai principi liberaldemocratici
Quelle epocali conquiste furono trasposte nelle prime costituzioni scritte (la costituzione americana del 1787 e la costituzione francese del 1791) e nelle costituzioni concesse dai regnanti nel corso dell’Ottocento. Si trattava di costituzioni in genere flessibili, ovverosia derogabili dalla legge, e connaturate a una determinata forma dello stato, improntata ai principi liberali e contraddistinta da una base sociale ristretta. Quando lo stato liberale è entrato in crisi con le grandi trasformazioni sociali del Novecento, quel costituzionalismo - fatto di carte che definivano il riconoscimento di libertà negative , la separazione dei poteri e lo stato di diritto -, è entrato a sua volta in crisi. Le tensioni sociali, la perdita di alcune garanzie democratiche, la pretesa di partecipazione politica delle masse hanno reso necessario che la costituzione si facesse patto fondamentale di unità di una comunità politica eterogenea, ossia costituita da soggetti di tutti gli strati sociali.
Fondamentale è stata la forza espansiva dell’idea di cittadinanza, alimentata dalle rivendicazioni di una parte di popolazione fino a quel momento esclusa dal pieno godimento dei diritti: la classe proletaria e contadina. Con l’ingresso dei ceti popolari nella vita politica, grazie all’estensione progressiva del suffragio , e ciò che ne è conseguito in termini di riconoscimento dei diritti e di legittimazione del potere, si ha il passaggio allo stato liberaldemocratico fondato sul pluralismo sociale. Dopo il secondo dopoguerra si affermò una nuova dimensione inclusiva della cittadinanza, volta a realizzare una tendenziale coesione sociale sulla base del riconoscimento a tutti i cittadini non solo delle libertà civili e politiche ma anche dei diritti sociali .
Le costituzioni improntate ai valori del costituzionalismo liberaldemocratico del Novecento individuano il popolo come soggetto legittimante la sovranità; affermano l’uguaglianza tra i suoi membri non solo in astratto (uguaglianza di fronte alla legge) ma anche in concreto (uguaglianza delle opportunità); si arricchiscono di contenuti (non si limitano a disciplinare i rapporti tra gli organi ma dettano norme che riguardano i rapporti sociali); si allungano, incorporando principi e obiettivi di politica sociale ed economica, oltreché nuovi diritti; diventano rigide (ovverosia non modificabili dalla sola maggioranza parlamentare) e si dotano di “clausole di eternità” (principi non modificabili).
Il controllo di costituzionalità
Agli inizi del XX secolo il dibattito tra i costituzionalisti era volto a sviluppare idee per rendere le costituzioni più forti: rigide e garantite da un organo apposito. Uno tra i più importanti teorici di quel tempo, Hans Kelsen, propose di introdurre un tribunale al di fuori dei tre poteri dello Stato, a cui affidare il compito di controllare che la legge approvata dalla maggioranza parlamentare sia conforme alla costituzione e di risolvere i conflitti tra i poteri dello Stato.
La prima vera Corte costituzionale è quella introdotta con la Costituzione entrata in vigore nel 1948 nella Repubblica italiana, cui fece seguito quella tedesca del 1948-49. Da quel momento, ogni ordinamento improntato ai principi dello stato democratico di diritto si è dotato di un tribunale costituzionale. Non a caso, nei decenni successivi, ogni volta che un Paese europeo è uscito da un regime illiberale (con la rivoluzione dei garofani il Portogallo, la fine del franchismo la Spagna, la caduta del regime dei colonnelli la Grecia e poi la fine delle dittature comuniste) ha istituito un tribunale costituzionale.
Con l’introduzione del controllo di costituzionalità si ha il passaggio dallo stato di diritto allo stato costituzionale. Lo stato costituzionale non è solo uno stato che ha una costituzione ma è uno stato che sulla costituzione fonda la propria identità e che la difende con strumenti di garanzia costituzionale.
Nasce nel 1983. E’ ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Roma “La Sapienza” e docente di Istituzioni di diritto pubblico nel Corso di Laurea in Scienze politiche, sociali e internazionali dell’Università di Bologna. Si occupa di fonti del diritto, evoluzione della funzione di indirizzo politico, governance economica europea, diritti sociali, sostenibilità dei diritti.