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La privatizzazione di Telecom

La privatizzazione di Telecom

da | 18 Mag 2021 | Internet, settori industriali, Telefonia

La privatizzazione di Telecom. Quella di Telecom è la storia di una privatizzazione mai completata. Con lo Stato che, attraverso la prima, la seconda e anche la terza Repubblica, è sempre rimasto a disturbare la «linea». Di questa storia vanno ricordati quattro capitoli che l'hanno condizionata fino a oggi: lo sbarco in Borsa del titolo Telecom, avvenuto nell'ottobre del 1997, l'Opa lanciata da Roberto Colaninno e soci nel '99, l'acquisto da parte di Marco Tronchetti Provera del 2001 e nel 2007 la presa del controllo da parte di Telco, costituita dalle banche italiane e dalla spagnola Telefonica

Ma partiamo dall'inizio. Ovvero dal 1990, l'anno in cui si decide di accelerare lo sviluppo delle telecomunicazioni in Italia. Lo stesso anno in cui Fiat vende Telettra, importante società del settore, ai francesi di Alcatel, chiudendo la possibilità dell'integrazione con Italtel del gruppo Iri-Stet nel polo denominato Telit. In Italia c'è una piccola pattuglia di aziende pubbliche: la Sip, che gestisce le reti urbane, poi la Asst, azienda di Stato per le interurbane, la Italcable per le internazionali, la Telespazio per i satelliti. Nel 1994, con l'arrivo della Seconda Repubblica, dallo spezzatino riunito nasce Telecom Italia sotto la regìa dell'Iri, e del suo presidente Romano Prodi

La privatizzazione di Telecomleggi anche l'articolo di Marco Onado "Telecom, una triste storia di capitalismo italiano"

scarica il dossierLa privatizzazione di Telecom Le maggiori Telco mondiali (2016-2021) - Area Studi Mediobanca

1997

Telecom in borsa

Qualche anno dopo, è il 1997, il nostro Paese ha bisogno di credibilità e di soldi per entrare nell'Euro, Prodi diventa premier e schiera in campo la «squadra» delle privatizzazioni: Carlo Azeglio Ciampi ministro del Tesoro, Mario Draghi direttore generale del Tesoro (oggi presidente del consiglio dei ministri e già presidente della Bce), Vittorio Grilli suo braccio destro. Vengono cacciati i boiardi Biagio Agnes e Ernesto Pascale e arriva il professor Guido Rossi.

Il 27 ottobre del 1997 Telecom, privatizzata, viene ammessa agli scambi in Piazza Affari: lo Stato incamera 26mila miliardi di lire e il controllo del gruppo passa a un nucleo di soci (tra azionisti del risparmio, delle banche e delle assicurazioni), capitanato dalla Ifil degli Agnelli, che detiene meno del 7% del capitale. Il risultato è che la Fiat, comprando lo 0,6% di Telecom, comanda. E sceglie i manager sostituendo subito il presidente Guido Rossi, con un ex dirigente del Lingotto, Gian Mario Rossignolo, che verrà poi mandato via in dieci mesi.

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1998
i capitani coraggiosi Colaninno e Gnutti

 

Nel novembre del '98 arriva infatti al vertice Franco Bernabè, reduce dai successi alla guida dell'Eni. Non fa in tempo a sedersi che parte la scalata di Roberto Colaninno con la sponda del socio-amico Chicco Gnutti: al timone della Olivetti si fa prestare i soldi dalle grandi banche internazionali e lancia un'offerta pubblica di acquisto, che si concluderà il 21 maggio 1999. L'Olivetti compra dal mercato il 51% di Telecom con un'operazione da 100mila miliardi di lire. A Roma brinda il presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, inneggiando ai «capitani coraggiosi» della «razza padana», che ci mettono soldi veri. A spalleggiare Colaninno è anche il numero uno di Mediobanca, Enrico Cuccia. Ma l'operazione è molto pericolosa: il debito accumulato da Olivetti per l'Opa viene trasferito sulla stessa Telecom due anni dopo, attraverso una fusione. E da allora l'indebitamento diventa la zavorra per lo sviluppo del gruppo. 

Così l'imprenditore mantovano va in difficoltà. La sua decisione di comprare Telemontecarlo, ribattezzarla La7 e usare i soldi di Telecom per sfidare Silvio Berlusconi (che vincerà le elezioni nella primavera del 2001) sul mercato televisivo fa saltare gli equilibri.

Colaninno era entrato in Telecom con pochi (dei suoi) soldi, ma ne esce con una cifra che si aggira intorno ai 1000 miliardi di lire,  ed è con questo tesoretto che acquisisce, nel 2003, la Piaggio. (nel dicembre del 1997 era scomparso Giovannino Agnelli allora Presidente e azionista di maggioranza della Piaggio).

Inizia così l'epoca dei capitani coraggiosi che si inventano la strategia di acquisire la Telecom con i soldi della Telecom, li imiterà di li a poco, anche se con diverse modalità, Marco Tronchetti Provera.

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2001
il capitano Tronchetti Provera

Alla porta si presenta Marco Tronchetti Provera: nel luglio 2001, attraverso Olimpia, la Pirelli e la Edizioni Holding della famiglia Benetton, sostenuti da Intesa e Unicredit, rilevano il pacchetto di controllo di Telecom.

Colaninno esce ma l'anno dopo torna sulla scena perché proprio da Telecom compra la Immsi con una cordata di cui fanno parte anche Interbanca e la Lm Real Estate, indirettamente controllata dall'amico Giorgio Magnoni . Con Immsi nel 2003 si porterà a casa la Piaggio. 

Nello stesso anno viene ceduta la catena di controllo di Seat Pagine Gialle e poi si procede alla fusione di Telecom in Olivetti. Nel gennaio 2005 Telecom Italia lancia un'Opa sulla controllata Tim. Nel settembre 2006 ecco che si rivede lo zampino dello Stato: il consigliere di Palazzo Chigi, Angelo Rovati, fa pervenire a Tronchetti Provera un documento sul riassetto della società che ipotizza lo scorporo della rete telefonica per risolvere i problemi patrimoniali dell'azienda. 

Tronchetti Provera vende, a prezzi per lui vantaggiosi, gli asset immobiliari di Telecom a Pirelli Real Estate, gli stessi immobili sono poi affittati a Telecom (in realtà formalmente gli asset vengono ceduti al fondo immobiliare chiuso Raissa: 561 immobili per un valore di circa 486 milioni di euro

La privatizzazione di Telecom

Telco e Telefonica. Dopo giorni di dure polemiche con il premier Prodi, Tronchetti lascia la presidenza del gruppo di TLC e al suo posto subentra Guido Rossi. 

Alla fine spunta l'ennesima «operazione di sistema» con la benedizione del governo Prodi: il 28 aprile 2007 una cordata italo-spagnola composta da Mediobanca, Generali, Intesa, Sintonia dei Benetton e Telefonica di Cesar Alierta lancia un'offerta per rilevare la quota di Pirelli in Olimpia, con la contestuale creazione di una società veicolo, chiamata Telco.

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2014
Vivendi - Bollorè
La privatizzazione di Telecom

Eccoci agli ultimi capitoli della storia e all'arrivo della cordata francese. Nel 2014 i soci italiani escono da Telco: rimane la sola Telefonica. Nell'ottobre 2015 il gruppo transalpino Vivendi, controllato da Vincent Bolloré, si muove sul mercato e progressivamente, all'inizio del 2016, arriva a detenere il 24,9%, diventando il primo azionista. Nel marzo del 2018 il fondo attivista Elliott entra con il 3% in Tim, chiedendo una discontinuità nella gestione dell'azienda.

Il gruppo americano avvia anche un'azione legale contro Vivendi. All'assemblea del 4 maggio si presenta con l'8,85% del capitale e, con l'appoggio del governo attraverso Cdp (entrata con il 5% all'indomani delle elezioni) e dei fondi, conquista il cda. Il resto è cronaca.

La privatizzazione di Telecom

La privatizzazione di Telecom: fu una scelta felice?

Come è facile intuire non poche polemiche hanno accompagnato il processo di privatizzazione della Telecom: negli anni '90 il numero dei dipendenti della nostra società telefonica superava i 120.000, era una società stimata in tutta Europa e possedeva consociate del calibro della CSELT di Torino; oggi i dipendenti superano di poco le 50.000 unità. I capitani coraggiosi come abbiamo visto si sono quasi tutti arricchiti, gli italiani un po' meno.

Si possono avanzare (e lo stiamo facendo) severe critiche nei confronti dell’operazione che portò la Telecom in mano ai privati: prima su tutto la decisione di cedere il controllo della rete fisica, ma anche un atteggiamento un po’ ondivago nei confronti del servizio universale, per arrivare alla dissoluzione dello CSELT.

Si sarebbe potuto privatizzare solo il servizio e non la rete? Certamente sì, ma è anche altrettanto certo che non si sarebbe potuto realizzare un ritorno economico di 13 miliardi di euro. Dobbiamo ricordare che quegli anni erano particolarmente difficili per il nostro paese: dovevamo entrare nella zona euro (Euro Gruppo) e la strada era tutta in salita. Il gruppo Prodi, Ciampi e Draghi realizzò allora un mezzo miracolo, miracolo che inevitabilmente ci porta a stemperare la severità del giudizio in merito alle scelte imprenditoriali fatte sulla Telecom.

Per comprendere, e in parte giustificare, la miopia di una tale scelta fatta dai nostri governi, è giusto ricordare la gravissima situazione in cui versava il nostro paese nella seconda metà degli anni novanta: gli interessi sul denaro erano a due cifre (17-19%) e lo spread (anche se forse pochi la calcolavano) era intorno ai 500 punti base; ricordiamo che per una cifra analoga, nel 2011, cadde il governo Berlusconi; allora lo spread passò da 173 punti, nel gennaio 2011, a quota 528, il 30 dicembre.

Ricordiamo anche il "Contributo straordinario per l'Europa", meglio conosciuto come "eurotassa", un'imposta approvata dal Governo Prodi I il 30 dicembre 1996 con un decreto di fine anno che implicava una manovra tributaria di 4 300 miliardi di lire, necessari per ridurre il disavanzo dello Stato dello 0,6% e consentire, in questo modo, il rispetto dei parametri di Maastricht ai conti pubblici italiani, permettendo conseguentemente l'ingresso dell'Italia nell'area euro. In quella manovra di risanamento dei conti giocarono un ruolo importante i 26mila miliardi di lire generati dalla privatizzazione della Telecom, e certamente la vendita del solo servizio avrebbe prodotto entrate di molto inferiori.

Il servizio universale

La Telecom, come soggetto detentore di una concessione telefonica è vincolato al servizio universale. Che cosa è?

Il servizio universale, secondo la legge italiana, indica una situazione che comporta degli oneri a carico di un gestore pubblico o privato di un servizio di pubblica utilità al fine di garantire un riferimento minimo predefinito di qualità di servizi, per i quali non sia possibile l'equilibrio economico, ma che si ritiene tuttavia necessario garantire alla collettività, nel caso anche con meccanismi di compensazione finanziaria pubblica. A livello europeo esistono leggi con obblighi di servizio universale nell'erogazione di energia elettrica e nel settore delle telecomunicazioni, tradotte nei rispettivi ordinamenti nazionali. In Italia è stato introdotto ed è disciplinato dal D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318.

In Italia comporta un serie di obblighi a carico dell'operatore con la maggior quota di mercato o incumbent (Telecom Italia), che vengono annualmente rimborsati dallo Stato al gestore privato, qualora dall'espletamento di tali obblighi derivino oneri iniqui per l'azienda. Tra questi:

  • l'allacciamento alla linea telefonica di chiunque ne faccia richiesta (servizio universale di fonia vocale);
  • la fornitura di elenchi telefonici cartacei;
  • la copertura del territorio con cabine telefoniche pubbliche (abrogato);
  • la fornitura di un collegamento Internet con velocità di trasmissione minima di 2.4 Mbit/s.

Ora mentre i primi 3 punti sono quasi sempre stati rispettati, il quarto punto, quello che avrebbe dovuto assicurare a tutti, cittadini e imprese, una velocità trasmissione di 2 Mbit/s, è stato in molte zone del nostro paese disatteso;. quando si parla di digital divide in Italia ci si riferisce anche a questi aspetti: le cosiddette zone a fallimento di mercato.

La privatizzazione di Telecom: un possibile scenario futuro

Il 1° settembre 2020, il cda di Tim ha approvato l’accordo con KKR Infrastructure e Fastweb relativo alla costituzione di FiberCop, la NewCo in cui verranno conferite la rete secondaria di Tim (dall’armadio di strada alle abitazioni dei clienti) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber.

La rete unica nascerà entro il primo trimestre del 2021 e il primo passo è già stato fatto con il via libera, all’unanimità, dato alla creazione di FiberCop da parte di Tim (in FiberCop entrano KKR e Fastweb) e la firma di una lettera d’intenti con Cdp Equity (gruppo Cdp) per realizzare il più ampio progetto di rete unica nazionale (AccessCo) attraverso la fusione tra FiberCop e Open Fiber, una sola società per un’infrastruttura strategica.

La nuova società, di cui Tim deterrà il 58%, KKR Infrastructure il 37,5% e Fastweb il 4,5% (apportando il 20% detenuto in Flashfiber, jv con Tim) , è stata valorizzata 7,7 miliardi (equity value 4,7 miliardi di euro). Si prevede che FiberCop avrà un ebitda di circa 0,9 miliardi di euro ed Ebitda-Capex positivi a partire dal 2025 e non richiederà iniezioni di capitale da parte degli azionisti.

Questo dunque era il quadro di riferimento fino a gennaio 2021; l'ipotesi di questo nuovo assetto societario  sembrava aver trovato, sulla sua strada, semaforo verde da parte del governo Conte bis; ma il governo Draghi ha deciso di scompigliare le carte in tavola e sia Draghi che Vittorio Colao (ministro per l'Innovazione tecnologica e la transizione digitale) sembrano meno propensi a dare vita ad una società mista con TIM (come si chiama ora Telecom) con maggioranza riconosciuta alla società telefonica. In altre parole probabilmente la fusione tra FiberCop (TIM) e Open Fiber (CDP e Enel sostituita probabilmente dal subentrante fondo australiano Macquarie) non vedrà la luce.

In realtà non è ancora chiaro come si chiuderà questa partita, partita della cui rilevanza tecnologica, economica e forse anche geopolitica nessuno dubita. Per certi versi, seguendo un sorta di buon senso, saremmo portati a dire che non è molto saggio avere, in questo momento, due differenti operatori impegnati sullo stesso fronte; uno più attento al profitto e quindi ad investire nelle aree ad alto ritorno economico, l'altro impegnato da una missione pubblica tesa a ridurre il digital divide. D'altra parte TIM propone di avere la maggioranza e la governance di una futura società mista con Cassa Depositi e Prestiti; ma TIM è un soggetto controllato da un gruppo non italiano, e, senza essere particolarmente sovranisti, l'ipotesi di cedere sul controllo dell'intera operazione, non pare proprio la scelta migliore.

L'offerta pubblica di acquisto (OPA) di KKR su TIM

Nel mese di novembre il Fondo KKR si è dichiarata disponibile ad un'OPA sul 100% delle azioni TIM per un valore di circa 50 centesimi di euro ad azione. Di fatto non è una vera OPA ma piuttosto una dichiarazione di interesse che richiede una due diligence. Questa proposta, vincolata ad un'analisi dei conti  TIM che KKR si propone di condurre nell'arco di 4 settimane, ha generato un vero e proprio terremoto all'interno della società italiana di telecomunicazioni.

Il gruppo Vivendi detiene azioni che sono scritte a bilancio al valore di acquisto di 1 euro circa per azione e quindi, anche al di là degli aspetti strategici, non può vedere di buon occhio questa operazione che produrrebbe una forte sopravenienza passiva. Il gruppo francese ha quindi già fatto sapere che valuta l'offerta insufficiente. Alcune fonti riportano che KKR potrebbe rilanciare con un prezzo più alto e che l'offerta potrebbe essere presentata in condivisione con altri fondi interessati a TIM

 

La privatizzazione di Telecom

 

Il CDA di Telecom ha espresso forti malumori nei confronti della gestione operata dall'amministratore delegato e direttore generale Luigi Gubitosi: di fatto nel triennio legato alla gestione Gubitosi si è perso il 20% dei ricavi e il 60% degli utili. I risultati finanziari non sono dunque in generale buoni e il piano di rilancio basato sull'accordo con DAZN per il calcio sta mostrando dei risultati deludenti. Dopo un altro consiglio di amministrazione fiume, il quarto in un mese, Telecom Italia prende atto di conti peggiori del previsto e accetta le dimissioni offerte dal suo a.d.. Dimissioni accolte a larga maggioranza, e sollecitate venerdì scorso da quattro quinti dei consiglieri, tra cui anche il presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Giovanni Gorno Tempini.

Il presidente Salvatore Rossi assume la delega di amministratore delegato, mentre la posizione di direttore generale viene affidata a Pietro Labriola, che mantiene anche la posizione di amministratore delegato di Telecom Brasile, già ricoperta in precedenza.

TIM ha confermato che l'offerta di KKR è volta al delisting, cioè all'uscita della società dalla borsa. Una volta fuori, dovrebbe essere più facile per KKR realizzare un'operazione delicata come il cosiddetto "spezzatino". Lo spezzatino consisterebbe nella scissione di TIM in più società, in modo da separare ad esempio servizi commerciali da realizzazione/gestione della rete. Dal punto di vista di KKR il beneficio di un'operazione di questo tipo sarebbe aumentare il valore complessivo di TIM, potenzialmente triplicandolo. Lo scenario spezzatino non piace ovviamente ai sindacati.

Un'altra questione che desta qualche preoccupazione è il fatto che KKR è una società statunitense e tra il resto soggetta al cosiddetto CLOUD Act, secondo cui un'azienda USA non si può opporre alle richieste della autorità di fornire dati in loro possesso, anche se memorizzati all'estero. Ricordiamo che il Cloud (Clarifying Lawful Overseas Use of Data) Act consente alle autorità statunitensi, forze dell’ordine e agenzie di intelligence di acquisire dati informatici dagli operatori di servizi di cloud computing a prescindere dal posto dove questi dati si trovano; quindi anche se sono su server fuori dagli Usa. La sola condizione è che questi operatori siano sottoposti alla giurisdizione degli Stati Uniti oppure anche – attenzione – siano le società europee che hanno una filiale negli Stati Uniti o che operano nel mercato americano.

Dal punto di vista dell’Ue è innanzitutto lecito domandarsi come, ad oggi, il CLOUD Act si possa conciliare con le istanze di protezione dei trattamenti dei dati personali e se, nella sua forma attuale, tale legge statunitense non contrasti con il GDPR ed in particolare con l’art. 48 ed il Considerando 115.

Ultima scossa di terremoto, il Governo Draghi minaccia di far valere la il suo potere di veto un'eventuale acqusizione della società da parte di KKR, avvalendosi del golden power (vedi sotto). Il motivo è fondamentalmente legato al controllo di Telecom sulla Telecom Italia Sparkle, una società, strategica per il nostro paese, che  possiede e gestisce più di 500.000 Km. di cavi sottomarini in fibra ottica estesa dal Mar Mediterraneo, all'Oceano Atlantico e Indiano.


aggiornamento fine agosto 2023

Il governo prende in mano il destino di Tim e con un atto formale ha autorizzato il ministero dell’Economia a entrare nella Netco e garantisce che ci saranno le risorse finanziarie per acquistare fino al 20% della futura società della rete: con due decreti varati lunedì 28 agosto, sul tavolo punta a spendere fino a 2,2 miliardi per una partecipazione che ritiene strategica. «Dopo aver trovato una soluzione seria per Ita con un accordo con Lufthansa, Commissione Ue permettendo, e che a volte solleva problemi che difficilmente capiamo, ora è venuto il momento di dare una prospettiva a quello che è stato uno dei campioni internazionali delle telecomunicazioni», ha detto in Consiglio dei ministri la premier Giorgia Meloni. a partecipazione del Mef alla Netco di Tim «sarà di minoranza per un importo massimo di 2 miliardi e 200 milioni», ha precisato il ministro Giancarlo Giorgetti ribadendo che si tratta di una partecipazione «finalizzata a assicurare comunque l’esercizio di poteri speciali, sostanzialmente la capacità di incidere in termini di strategia di sicurezza su quella che consideriamo una infrastruttura, la rete di Tlc, come decisiva per il futuro del Paese». (continua su Il Sole 24Ore)

Probabile uno scenario in cui il Ministero dell'Economia e Finanza chieda a KKR di scorporare dal complesso della rete la Sparkle, la società di cavi sottomarini attraverso cui passano le comunicazioni internazionali; il governo vuole infatti possedere il 100% di Sparkle che vale circa un miliardo.

Nella immagine sotto viene riportato un possibile assetto della rete scorporata da TIM (fonte Affari&Finanza di La Repubblica del 4 settembre 2023)

La privatizzazione di Telecom

una mission impossible?

Così descritta l'operazione prefigurata da KKR per l'acquisizione di Telecom, appare come una strada tutta in salita, con parecchi ostacoli sul percorso: poco interesse di Vivendi, forti dubbi del Governo, sindacati contrari allo spezzatino, ecc...

Forse, però, ha più probabilità di successo di quanto possa apparite. Innanzi tutto la dichiarazione di interesse è sempre stata subordinata ad una posizione favorevole degli stakeholder, almeno di quelli che contano maggiormente. Abbiamo parlato di posizione non particolarmente favorevole da parte del Governo; ma in realtà quest'ultimo non ha alzato le barricate; anzi l'agenzia Bloomberg ha riportato, e nessuno l'ha smentita, che nel mese di novembre (2021) , i vertici di KKR sono stati ricevuti a Palazzo Chigi, dove hanno potuto illustrare le linee generali del progetto, ricevendone una sorta di green light.

Forse il Governo vede in questa operazione un'occasione (storica) per sanare il peccato originale della privatizzazione portata avanti da Prodi (per  le comprensibili finalità di ottenere liquidità ed aprire, per l'Italia, i cancelli della UE).  Con lo scorporo della rete dal sevizio lo Stato potrebbe intravedere la possibilità di riottenerne la proprietà e il controllo, magari attraverso Open Fiber; in sostanza il progetto della rete unica, ma in un modo sostanzialmente diverso da come la voleva Gubitosi (e in sostanza accettata dal governo Conte 2) con il 51% in mano a Telecom.

Tim, dal Cda niente due diligence e si chiude il capitolo Kkr

Il cda di Tim, unanime, decide di non dare seguito a richiesta Kkr di due diligence. E manda in soffitta la manifestazione d’interesse per l’Opa presentata dal fondo a novembre
7 aprile 2022 - Il Sole 24Ore - di Andrea Biondi

 

Breve profilo dei principali soggetti coinvolti

L'articolo Gli attori della privatizzazione Telecom presenta un breve profilo di ogni singolo attore: si tratta di operatori della telecomunicazione come Telecom Sparkle, Fibercop e Telefonica; oppure su tratta di fondi finanziari come KKR, Macquarie, o  holding come Cassa Depositi e Prestiti o Vivendi. Per leggere l'intero articolo clicca su questo link. Altrimenti puoi cliccare sul singolo protagonista.

 

La privatizzazione di Telecom

Golden power e golden share

Qual è il significato di golden power? Cos'è? Chi lo esercita? Quando viene utilizzato? Il golden power è lo strumento che permette al governo di opporsi all’acquisto di imprese considerate strategiche, nei settori della difesa, dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Con il golden power, introdotto nel 2012, l'esecutivo può anche opporsi a determinate delibere aziendali in base all’interesse nazionale.

Di fatto utilizzando questo strumento il governo ha 'poteri speciali' per indicare condizioni specifiche all'acquisto di partecipazioni e può anche porre veti in determinati settori. Con il golden power l'Italia ha superato la cosiddetta 'golden share', che nel 2009 fu oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea che riteneva che con tale strumento il sistema italiano andasse oltre l'obiettivo di salvaguardare l'interesse nazionale. (vedi originale)

Al fine di salvaguardare gli assetti delle imprese operanti in ambiti ritenuti strategici e di interesse nazionale, con il decreto-legge 15 marzo 2012 n. 21 (convertito con modificazioni dalla legge n. 56 dell’11 maggio 2012), è stata disciplinata la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti ritenuti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti, delle comunicazioni. (vedi sul sito del Governo)

La privatizzazione di Telecomper saperne di più scarica Dalla golden share al golden power di Fabio Bassan (Roma Tre)

la privatizzazione della Telecom

La privatizzazione di TelecomAggiornamenti
a cura della redazione di Civitas

La possibile OPA prefigurata dal fondo KKR è destinata a popolare la stampa italiana di alcuni articoli significativi,  Civitas seguirà questo processo per i suoi lettori


Rete Tim al bivio tra Cdp e Kkr. Quattro mesi per decidere

4 marzo 2022 - Il Sole 24Ore - Antonella Olivieri
l passato è racchiuso nell’impietoso -14% dell’avvitamento in Borsa che ha cancellato quattro mesi di illusioni. I conti Telecom Italia -15,5% (Tim) del 2021, falcidiati dall’impairment, si sono chiusi in profondo rosso, con 8,7 miliardi di perdite. E quei 50,5 centesimi scritti sulla sabbia da Kkr sono stati spazzati via dagli eventi: di fatto la prospettiva di un’Opa totalitaria non esiste più e il titolo è tornato dove stava prima della manifestazione d’interesse del fondo Usa, sotto i 30 centesimi.... (disponibile solo su abbonamento)


Tim, mandato al ceo Labriola per lo scorporo della rete

26 gennaio 2022 - Il Sole 24Ore - Antonella Olivieri
Board fiume con le linee guida per il piano, a marzo il confronto con KKR. Consenso unanime dei consiglieri: studiare le opzioni per separare l’infrastruttura dai servizi. L’araba fenice dello scorporo della rete prende forma. Al termine di una maratona durata tutto il pomeriggio fino in tarda serata il consiglio Telecom, all’unanimità, ha dato mandato all’ad Pietro Labriola (nominata amministratore delegato a metà gennaio 2022) di esplorare opzioni strategiche, mirate a creare valore per tutti gli azionisti, con specifico riguardo alle attività infrastrutturali, anche attraverso soluzioni che superino l’assetto attuale di integrazione verticale. Fuori dai tecnicismi significherebbe staccare la rete dalle attività commerciali... (contenuto disponibile su abbonamento)


Vivendi 'apre alla maggioranza dello Stato nella rete Tim

6 dicembre 2021 - quasi tutti i media on line oggi escono con le dichiarazioni di Bolloré che sembrano aprire uno spiraglio verso una possibile soluzione (non belligerante verso lo stato italiano).

"Certamente puntiamo a riportare Tim su una traiettoria di crescita. Le valutazioni in corso vertono su questo obiettivo. Vivendi è interessata a qualsiasi soluzione che promuova l'efficienza e la modernità infrastrutturale della rete, preservando il valore del proprio investimento. In questa prospettiva - dichiara un portavoce del gruppo francese- l'ipotesi di un controllo statale della rete, se fosse propedeutico ad un progetto strategico a guida istituzionale verrà certamente valutata con apertura".


Gubitosi si dimette da ad di Tim, le deleghe passano al presidente Rossi

26 novembre 2021 - AGI

Per il manager napoletano l'avventura al timone di Tim è durata tre anni. Il numero uno di Tim Brasil Pietro Labriola è stato nominato direttore generale del gruppo. Paola Speranza assumerà la carica di Lead Indipendent Director. Luigi Gubitosi si è dimesso da amministratore delegato di Tim. A quanto si apprende le deleghe passeranno al presidente Salvatore Rossi. Il numero uno di Tim Brasil Pietro Labriola è stato nominato direttore generale del gruppo. "Esprimo a titolo personale e del Consiglio tutto, grande soddisfazione per la nomina di Pietro Labriola a nuovo Direttore Generale di Tim. Questa nomina mostra ancora una volta il valore del management della società e la capacità di valorizzare competenze, merito e innovazione". Lo ha affermato il presidente di Tim, Salvatore Rossi, commentando in una nota la nomina di Labriola. (continua a leggere)


Tim pronta a discutere di Open Fiber: «Non dobbiamo aspettare il closing»

21 maggio 2021 - IlSole 24Ore - Antonella Oliveri

Luigi Gubitosi ottimista sulla rete unica: «Capiremo presto se è possibile un accordo». Intanto l'incumbent punta sul calcio con Dazn per accelerare sulla fibra. C’è anche Telecom Italia +0,87% che aspetta di capire cosa succederà al vertice di Telecom per riallacciare il discorso sulla rete unica. Ora che la Cassa depositi e prestiti (Cdp) ha concordato di rilevare il controllo di Open Fiber, con Macquarie come partner finanziario, è diventata l’interlocutore col quale ragionare se ci sono ancora le condizioni per cercare di mettere a fattor comune le due infrastrutture, sapendo però che il Governo attuale vuole restarne fuori. D’altra parte ad agosto dello scorso... (Riproduzione riservata ©)
 

La privatizzazione di Telecomquesto articolo è stato scritto anche grazie al contributo di un importante articolo a cura di Camilla Conti "I 20 anni di una privatizzazione nata male", comparso su Il Giornale del 14 novembre 2018 (vedi l'articolo originale)