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Chi detiene i nostri titoli di Stato?

Chi detiene i nostri titoli di Stato?

da Paolo Bosi | 28 Set 2022 | debito pubblico, economia, evasione, spesa pubblica

Chi detiene i nostri titoli di Stato?
Il Debito pubblico è costituito dall’ammontare delle somme che lo stato deve ai propri creditori, che hanno sottoscritto titoli di stato con varie scadenze e di varia entità. Ma chi detiene i nostri titoli di Stato? ossia chi sono i creditori dello Stato? Le famiglie che acquistano BOT, BTP, CCT…?
In realtà, la quota più consistente del debito pubblico non è – come forse si potrebbe  pensare – nelle mani delle famiglie italiane ma in quelle di istituzioni finanziarie. In questo articolo, Paolo Bosi entra nel dettaglio.

La tabella dei creditori

La tabella sottostante riporta l'elenco delle tipologie dei creditori che detengono il debito lordo delle pubbliche amministrazioni italiane. Il valore è aggiornato a fine giugno 2022.

Sottoscrittori mld %
Banca d'Italia 713,5 25.8
Istituzioni finanziare monetarie (diverse dalla Banca d'Italia) 710,1 25.7
Altre istituzioni finanziarie 345,8 12.5
Altri residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) 234,4 8.5
Non residenti 763,8 27.6
Totale  2.767,8 100.0
Chi detiene i nostri titoli di Stato?

La Banca d’Italia e gli investitori istituzionali

Circa un quarto del nostro debito è posseduto dalla Banca d’Italia. Non si tratta però di acquisti diretti della BdI, ma la contabilizzazione degli acquisti di titoli che la Banca centrale europea, nell’ambito della politica chiamata Quantitatuive easing, ha fatto con due importanti progetti finalizzati ad aumentare la liquidità del sistema finanziario: il Public Sector Purchase Program (PSPP) nell’ambito dell’ Asset Purchase programme (APP) dal 2014 e il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) dal marzo 2020, che verrà in futuro rimpiazzato dal  Transmission Protection Istrument (TPI) varato nel luglio 2022.

La parte più ampia del debito pubblico italiano è detenuta da istituzioni finanziarie residenti, monetarie (in gran parte banche e altre istituzioni finanziarie. Queste assorbono il 38% del debito e ciò spiega la preoccupazione della politica monetaria europea e italiana di monitorare con attenzione l’intreccio tra livello del debito pubblico e solidità del sistema bancario.

Una parte del debito rilevante (il 27,6%) è detenuto da non residenti, in gran parte istituzioni finanziarie, fondi di investimento ecc.

e le famiglie italiane?

Quelle che in caso di necessità non esiterebbero – secondo una certa narrazione – a farsi carico dei sacrifici di un’Italia finalmente libera dal giogo di Bruxelles finanziandone il debito con i propri faticati risparmi? Le famiglie italiane si posizionano ultime, nell’aggregato “Società non finanziarie, famiglie e istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie”, con 234 miliardi circa di debito pubblico

deve preoccupare la quota del debito pubblico detenuta da non residenti?

Gli acquirenti non residenti sono nella quasi totalità società finanziarie, fondi di investimento esteri, ecc. La domanda andrebbe forse riformulata: è ragionevole pensare che un fondo di investimento non residente si comporti in modo diverso da un fondo i investimenti  residente? Forse entrambi hanno criteri di comportamento molto simili, finalizzati a massimizzare il rendimento dei loro investimenti, a seconda della tipologia del fondo. La dipendenza dall’estero di un’economia  non è tanto misurata dalla quota di tioli pubblici detenuta da intermediari finanziari con residenti, ma da un’altra grandezza, che riguarda non solo la posizione finanziara del settore pubblico, ma dell’intera nazione, che viene chiamata posizione netta verso l’estero  Essa riguarda non solo il debito pubblico estero, ma anche la situazione delle imprese non finanziarie e delle famiglie. E rispetto agli altri paesi l’Italia ha un debito privato molto più basso.

 

e se gli investitori smettono di acquistare i titoli di stato italiani?

Ma cosa succede se i sottoscrittori del debito (siano essi residenti o non residenti) perdono la fiducia nei titoli italiani e fuggono all’estero? In un paese che controlli la propria moneta, si avrebbero effetti sul tasso di cambio. Se invece fai parte dell’Unione Monetaria, con la moneta unica, l’effetto sull’euro sarà probabilmente piccolo, mentre si manifesterà un aumento dello spread (la differenza sui tassi dei titoli a lunga scadenza italiani rispetto a quelli della Germania). Ciò farà aumentare il costo del debito, ossia lo stato dovrà garantire interessi sempre più alti per attirare gli investitori… e, in casi molto gravi, rischierà il fallimento, il cosiddetto default, che al limite potrebbe portare all’espulsione dall’Unione monetaria.

Ma l’Europa non offre difese per questo?

Chi detiene i nostri titoli di Stato?Ne offre: il ricorso a prestiti garantiti dall’Europa ma condizionati a poltiche di risanamento severe del tipo di quelle attuate dal FMI. In Europa lo strumento creato è il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), che ha però avuto scarso utilizzo. Altro discorso va fatto per la Banca centrale europea. Alla domanda se la BCE dovrebbe farsi carico di intervenire per minimizzare lo spread dei paesi dell’Unione monetaria, Christine Lagarde, la attuale presidente della Banca, prima delle crisi energetica, ha risposto di no. Ma ha poi corretto la rotta nel luglio 2022. Il programma TPI citato sopra ha infatti come principale obiettivo quello di evitare la frammentazione eccessiva dei mercati nazionali del credito (in sostanza la dispersione degli spread).

Sulla base del TPI il Consiglio direttivo,  discrezionalmente, può decidere di acquistare senza limiti prefissati, titoli pubblici con scadenza tra 1  e 10 anni in paesi che stiano sperimentando un deterioramento delle loro condizioni finanziarie non giustificate dai fondamentali economici loro specifici. Nel compiere questa scelta, il Consiglio direttivo valuta che i titoli acquistati riguardino un paese che ottempera una serie di criteri stringenti.  Lo strumento possiede è dotato di notevole efficacia e flessibilità, ma la sua applicazione è dunque condizionata al soddisfacimento di politiche severe.

Transmission Protection Instrument

Le condizioni per attivare il Transmission Protection Instrument (TPI): il rispetto delle regole del Pogramma di stabilità (vedi sul sito del mef)  e di eventuali Raccomandazioni comunitarie al riguardo; assenza di severi squilibri macroeconomici; sostenibilità fiscale del debito pubblico definita sulla base delle analisi della Commissione, del MES, del Fondo Monetario Internazionale e da analisi interne della Bce; politiche macroeconomiche rispettose degli obblighi connessi ai PNNR e alle raccomandazioni della Commissione nell’ambito delle procedure del Semestre europeo

da cosa dipende la sostenibilità del debito pubblico di un paese?

La risposta non è semplice. Ma per dirla in due parole  la sostenibilità dipende dalla relazione che esiste tra il tasso di crescita dell’economia e il tasso di interesse che si deve pagare sui titoli pubblici. Se il primo è maggiore del secondo  il rapporto debito/Pil potrebbe diminuire nel tempo anche se un paese ha un disavanzo primario, purché non troppo elevato. In caso contrario il rapporto DEB/Pil può calare solo realizzando avanzi primari,  cioè spese pubbliche (al netto degli interessi) minori delle entrate fiscali.

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    a quanto ammonta il nostro debito pubblico?

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    a cura della redazione di Civitas


    Chi possiede il debito pubblico italiano e perché scende lo spread

    Spread fin sotto 190 punti e debito pubblico italiano in calo nel mese di settembre. Vediamo le cifre sui detentori dei nostri bond. A settembre il debito pubblico italiano è diminuito di 16,2 miliardi di euro rispetto al mese precedente. E dai dati forniti dalla Banca d’Italia emerge che essenzialmente tale calo coincide con la riduzione dei titoli di stato nelle mani degli investitori stranieri: -13,2 miliardi. Essi risultavano esposti al 30 settembre scorso per 756 miliardi, di cui 650 miliardi in forma di bond. Nell’agosto del 2021, ne possedevano per 122,8 miliardi in più, a fronte di uno stock complessivo di quasi 8 miliardi più basso. Dunque, gli investitori stranieri se la sono dati a gambe levate. E ciò spiega perché lo spread BTp-Bund si fosse impennato fino a 250 punti base nel mese di settembre. Ieri, tuttavia, si era sgonfiato a meno di 190. Vedremo dai dati dei prossimi mesi se tale calo sia attribuibile al ritorno parziale degli investitori stranieri. La loro presenza sul mercato del debito pubblico italiano si rivela essenziale. La quota in loro possesso era del 27% due mesi fa. (continua a leggere)