La risposta della Unione Europea alla pandemia
La risposta della Unione Europea alla pandemia; Next Generation EU e altro.
La pandemia da Covid-19, oltre ai lutti e alle sofferenze di chi ne è stato direttamente colpito, ha prodotto conseguenze negative di grande portata nel tessuto economico e produttivo di tutti i paesi, nessuno escluso. Di fronte a questo scenario, l’Unione europea e le altre istituzioni comunitarie, come la Bce, hanno reagito mettendo in campo strumenti di sostegno e di rilancio delle economie dell’area, ricorrendo in parte al rafforzamento di leve già esistenti, in parte modificando temporaneamente regole di bilancio statuite nei Trattati, in parte (ed è una parte consistente) promuovendo piani pluriennali di finanziamento, sotto forma di sovvenzioni e di prestiti, come mai era successo prima.
La prima fase della crisi
Nei primi mesi in cui la pandemia si è manifestata (febbraio-marzo 2020), la Banca centrale europea ha fatto fronte, aumentando il volume del quantitative easing, mentre le istituzioni comunitarie, Commissione e Consiglio, si sono limitate ad allentare alcuni vincoli. Il 23 marzo, infatti, il Consiglio europeo ha attivato la clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita (PSC), consentendo agli stati membri di derogare temporaneamente dal limite del 3% nel rapporto tra deficit e PIL e, quindi, di praticare politiche economiche espansive; congiuntamente, il criterio a tutela della concorrenza che, di norma, vieta gli aiuti di stato alle aziende in crisi è stato sospeso, per consentire ai governi di sostenere direttamente cittadini e imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni.
Fatta eccezione per alcune misure di flessibilizzazione di canali già esistenti, in questa fase l’Unione non prevede espliciti impegni finanziari aggiuntivi. Solo in aprile, il Consiglio approva strumenti nuovi, mettendo a disposizione dei paesi membri linee di credito dedicate, per fare fronte alla crisi sanitaria e a quella sociale, con i pacchetti PSC (Pandemic Crisis Support) e SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in Emergency)
Il Next Generation EU (NGEU)
A primavera inoltrata del 2020, l’Europa cambia marcia. Rispetto ai timidi passi verso una gestione comunitaria della crisi compiuti sino ad allora, la decisione adottata dal Consiglio il 27 maggio è di portata storica: per la prima volta, l’Unione metterà in campo un finanziamento a favore degli stati membri, reperendo gran parte delle risorse indebitandosi sul mercato attraverso l’emissione di titoli comunitari. In realtà, il NGEU è un pacchetto di interventi composito, che comprende diverse linee di prestiti e sovvenzioni: è vero tuttavia che il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (DRR), costituendo il 90% dell’intero NGEU (672 mld su 750), fa la parte del leone.
Che cosa arriva all’Italia
Sull’entità dei finanziamenti, i tempi e le modalità di restituzione dei prestiti, la parte che toccherà al nostro paese nel contribuire al ripianamento del debito comunitario, c’è molta confusione, alimentata spesso dal sensazionalismo dei media. In primo luogo va chiarito che la parte più consistente della quota che tocca ai singoli paesi del DRR è sotto forma di prestiti: è vero che i tassi sono molto favorevoli e i tempi di restituzione sono lunghi (trent’anni a partire dal 2027), ma questo non toglie che attingere a quel segmento del pacchetto, che per il nostro paese ammonta a 122,6 mld, porti con sé un aumento del debito pubblico nazionale, che in Italia è fra i più alti. In secondo luogo, occorre ricordare che ogni stato membro sarà chiamato, sempre a partire dal 2027, ad aumentare il proprio contributo al bilancio dell’Unione, per fare fronte al debito comunitario contratto. Questo contributo avverrà ovviamente pro quota, ovvero proporzionalmente alla percentuale con cui ciascun paese concorre al PIL comunitario lordo.
L’Italia potrà contare su 68,9 mld di sovvenzioni del DRR. Poiché la quota nazionale del PIL europeo è, per il nostro paese, circa il 12,4%, dei 338,2 mld che l’UE trasferisce “a fondo perduto” ai paesi membri attraverso il DRR, l’Italia sosterrà nel tempo la stessa percentuale per il ripianamento, pari a circa 42 mld. Il trasferimento netto dell’UE all’Italia è dunque stimabile intorno ai 26,9 mld.
in un altro articolo di Civitas abbiamo riportato la stima di Carlo Calenda; valore netto 25 miliardi di euro; è bene notare che al crescere della stima del PIL del nostro paese, diminuisce il valore netto dei sussidi
Il PNRR italiano
Ogni paese dell’Unione è tenuto a presentare il proprio Piano nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) alla Commissione, dotato di precisi impegni sui tempi e sui modi degli investimenti previsti, per ottenere dall’Unione i finanziamenti. Entro la scadenza fissata (30 aprile 2021), l’Italia ha presentato il suo PNRR. Le prime tranches di erogazione dovrebbero arrivare entro l’estate. Come si è visto, l’intero piano comprende le diverse fonti di finanziamento comunitarie (cui si aggiunge un fondo complementare nazionale, approvato di recente dal Parlamento) e la ripartizione percentuale per aree di intervento, come risulta dalla tabella qui sotto
vedi anche su Civitas
il Piano nazionale ripresa e resilienza di Draghi
il dettaglio delle 6 missioni
Un’occasione unica
L’Italia potrà disporre quindi nei prossimi anni (entro il 2026) di circa 235 mld per ammodernare il paese, fare le riforme necessarie a rendere più spedita ed efficiente la pubblica amministrazione, favorire lo sviluppo e l’occupazione, innescare la transizione ecologica, incentivare la produzione di beni ad alto valore aggiunto, digitalizzare i servizi, rinnovare le infrastrutture, mettere al sicuro il territorio, ridurre i divari nord-sud, investire in istruzione e ricerca, portare a maggiore efficienza e migliore distribuzione nel paese il sistema sanitario. Un’impresa gigantesca, dunque, rispetto alla quale la politica non potrà contare sull’alibi di non avere le risorse per condurla in porto.
Nuove prospettive per l’Unione europea
Comunque si giudichi il complesso delle iniziative comunitarie per affrontare la crisi pandemica e senza nasconderne i limiti (la prevalenza dei prestiti sulle sovvenzioni, l’entità non eccezionale dell’impegno finanziario sotto forma di trasferimenti, se paragonata alle misure analoghe assunte dagli USA), non vi è dubbio che l’Europa, messa alle strette dalla situazione, abbia compiuto un balzo in avanti notevole sulla strada dell’integrazione. Bisognerà capire che cosa succederà dopo la crisi, quando l’emergenza sarà superata:
- se l’esperienza della flessibilizzazione e dell’allentamento dei vincoli del Patto di stabilità e crescita porterà ad una modifica dei Trattati;
- se le prime sperimentazioni di debito comune, attualmente messe in campo in un contesto esplicitamente definito come transitorio, possano tradursi in futuro in istituti permanenti, che prefigurino un’Unione europea più avanzata sul terreno della solidarietà e della condivisione dei rischi;
- se l’intera operazione sia destinata a concludersi come una risposta eccezionale a tempi eccezionali, o se invece sia il primo passo verso un’integrazione continentale delle politiche economiche e di sviluppo dell’intera area.
Non solo per l’Italia, ma per l’Europa, saranno anni decisivi, che segneranno davvero il futuro della next generation.
il contenuto di questo articolo e molto altro è contenuto in un PowerPoint, in cui Paolo Bosi ci svela alcuni dei retroscena (economici) che stanno dietro ai PNRR dei vari Paesi della EU27
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