la condizione dei Sinti e Rom in Italia
Di fatto la realtà presente in Italia è estremamente eterogenea e comprende situazioni, gruppi, condizioni di vita, culture, religioni e linguaggi differenti che costituiscono un variegato arcipelago all'interno del quale si possono distinguere alcuni gruppi principali (a loro volta divisi in sottogruppi a seconda dell’origine geografica e dei mestieri tradizionalmente esercitati); vedi l'articolo che li descrive
Nell'immaginario collettivo gli “zingari” sono i figli del vento alludendo con ciò a una presunta libertà dalle regole, uno spirito artistico che ne fa tradizionalmente valenti musicisti e circensi, ma per citare le parole di un anziano Rom Lovara “…da tanto tempo il vento non soffia più” facendo così riferimento a una realtà tutt'altro che romantica la cui evoluzione, in Italia, può essere sintetizzata, partendo da un passato prossimo, in quattro fasi.
I Rom e Sinti presenti in Italia sono approssimativamente 160.000 di cui circa la metà cittadini italiani. Tutti insieme non riuscirebbero a riempire il quartiere di una grande città. Benché la maggior parte di loro parli la lingua Romanés, non sono stati riconosciuti dal Governo Italiano come minoranza linguistica.
la prima fase: dal dopoguerra agli anni del boom
La prima fase va dal secondo dopoguerra fino agli anni del boom economico: in questo arco di tempo Rom e Sinti percorrono le strade secondarie di un’Italia ancora arretrata e sostanzialmente contadina esercitando lavori tradizionali, vivono all'interno di piccole comunità viaggianti i cui membri sono tutti legati da vincoli di parentela, mantengono abitudini, rituali, tratti culturali legati alla tradizione in un regime di totale autonomia dal mondo dei gağe (coloro che non sono Rom o Sinti); la giustizia , i matrimoni, le relazioni sociali vengono regolati al proprio interno e secondo consuetudini antiche; i legami sociali coincidono con quelli di sangue, patti che vengono rinsaldati o inaugurati nel corso di appuntamenti annuali, fiere o festività; la famiglia patriarcale rappresenta il nucleo , il cuore della comunità nel suo insieme; il rispetto per gli anziani, depositari di memoria e tradizioni di una cultura che è solo orale, caratterizza le relazioni tra generazioni.
L’organizzazione del proprio spazio abitativo e simbolico non coincide con quello sociale, l’organizzazione del tempo non rappresenta né la ciclicità dei ritmi naturali della società contadina, né i ritmi moderni dei contesti urbani. Giostrai, ambulanti capaci di raggiungere paesini lontani dalle principali vie di comunicazione, maniscalchi e fabbri, hanno diritto di cittadinanza perché offrono servizi socialmente utili, ma già il boom economico spazza via i retaggi di una cultura e di una economia arretrata costringendo Rom e Sinti a raggiungere le periferie delle grandi città dove nascono accampamenti di fortuna, privi di fogne, acqua, luce… per cercarvi nuove risorse per la sopravvivenza.
,,, percorrono le strade secondarie di un’Italia ancora arretrata esercitando lavori tradizionali, vivono all'interno di piccole comunità viaggianti i cui membri sono tutti legati da vincoli di parentela
il boom economico costringe i Rom e Sinti a raggiungere le periferie delle grandi città dove nascono accampamenti di fortuna, privi di fogne, acqua, luce…
leggi dossier su Sinti e Rom tratto da BPB
il portale tedesco della Bundeszentrale für Politische Bildung
la seconda fase: i due decenni successivi
Inizia così una seconda fase che occupa i due decenni successivi. Città in rapida espansione (quali potevano essere Milano o Torino negli anni sessanta) investite da un rapido processo di industrializzazione diventano meta di significativi flussi migratori dal sud del paese ma i Rom, estranei al contesto istituzionale che li circonda, non entrano in fabbrica, non si avvicinano alle organizzazioni operaie, occupano nicchie di lavoro marginali e si trasformano in breve tempo in rottamai e raccoglitori di rifiuti da riciclare.
Cruciale in quegli anni l’atteggiamento del contesto sociale di accoglienza che ha determinato l’evolversi successivo della situazione. Coloro che avanzano richieste di cittadinanza - lavoro per loro e istruzione per i figli – vengono respinti senza possibilità di appello, le loro richieste in gran parte disattese e ignorate. Gli “zingari” non sono ancora un problema sociale ma il pregiudizio nei loro confronti è già abbastanza consolidato per ostacolare tali intenzioni. Per tale ragione coloro che tentano la strada dell’integrazione rappresentano per gli altri Rom un esempio sì, ma un esempio in negativo. Appare chiaro che la loro è una scelta da non imitare. Una scelta perdente, una scelta che non paga, che espone a vessazioni e umiliazioni e conduce in una terra di nessuno: stranieri per gli zingari, stranieri per i gağe. Tant'è che alcune famiglie si allontanano dalle comunità di appartenenza temendo, soprattutto per i propri figli, un vero e proprio contagio sociale che li avrebbe destinati ad un futuro di emarginazione e devianza.
Se le cose fossero andate diversamente probabilmente si sarebbe creato un circolo virtuoso con ben altri esiti rispetto all'oggi. Esempi positivi di integrazione avrebbero incentivato altri ad intraprendere la stessa strada e stigmatizzato comportamenti devianti all'interno del gruppo. Una pratica di frequentazione delle nostre istituzioni avrebbe accorciato le distanze e indebolito il pregiudizio reciproco. Sostenere allora, con forza e convinzione, la scolarizzazione dei bambini, avrebbe significato avere oggi adulti diversi, cittadini integrati in grado di arginare le spinte alla devianza e riconsegnare memoria e significato alle proprie tradizioni culturali. (Basti pensare che solo agli inizi degli anni sessanta furono istituite nelle parrocchie, su iniziativa dei volontari dell’Opera Nomadi, le prime classi Lacio Drom destinate all'alfabetizzazione dei bambini Rom, nel 1965 tali classi furono riconosciute dal Ministero della Pubblica Istruzione e accolte nelle scuole primarie e solo nel 1971 si cominciò un lento inserimento di questi bambini nelle classi normali senza però alcun intervento presso le famiglie per incoraggiarne l’iscrizione).
E’ mancata in altre parole una generazione che potesse fare da cerniera tra passato e futuro e inaugurare una nuova stagione segnata da modalità di relazione diverse tra queste comunità e il contesto sociale più vasto. E molto differente sarebbe stata la situazione se i gruppi arrivati in Italia negli anni successivi avessero trovato una comunità felicemente integrata. Ma le cose non sono andate così e il cammino di coloro che hanno scelto legalità, istruzione, lavoro è stato molto più lento, lungo e faticoso di quanto avrebbe potuto essere tant'è che all'oggi rimangono ancora molte situazioni di grave emarginazione, povertà o devianza.
Se le cose fossero andate diversamente probabilmente si sarebbe creato un circolo virtuoso con ben altri esiti rispetto all'oggi. Esempi positivi di integrazione avrebbero incentivato altri ad intraprendere la stessa strada e stigmatizzato comportamenti devianti all'interno del gruppo
la terza fase: fine anni sessanta
La terza fase si apre alla fine degli anni sessanta quando il processo di sedentarizzazione può dirsi ormai del tutto concluso. Le limitazioni imposte dalle autorità al nomadismo hanno ormai accelerato tale processo che determina la nascita nelle periferie delle grandi città, di grandi campi stabili alcuni dei quali autorizzati (ma non perciò attrezzati adeguatamente), altri abusivi.
Questi ultimi oggetto di periodiche ordinanze di sgombero a cui seguono nuove occupazioni in una sorta di tacita e ambigua consuetudine. Si viene così a disegnare una strana geografia metropolitana dettata da convenienze politiche, incapacità o non volontà di intervenire a livello istituzionale , interventi più a titolo dimostrativo che sostanziale e comunque mai frutto di una strategia complessiva e concordata tra le varie istituzioni (una storia, questa, che si sarebbe ripetuta nei decenni successivi fino ad oggi).
All'interno dei campi convivenze a volte forzate: luoghi nei quali i Rom organizzano la vita quotidiana cercando di riprodurre le antiche abitudini e, insieme, costretti anche ad apprendere e rispettare una serie di norme imposte dall'esterno. Di fatto zone franche dove è difficile ridefinire le regole della convivenza laddove l’unica regola è sopravvivere (ai topi, al freddo, alla mancanza di luce e di acqua) e rubare e chiedere la carità, per molti l’unica possibilità.
Contemporaneamente a questo cambiamento di abitudini i Rom perdono infatti anche le fonti della propria autonomia economica. Alcuni esempi: i controlli e le norme relativi all'inquinamento limitano radicalmente quelle attività legate allo scasso delle macchine; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti passa sotto il totale controllo municipale; il prezzo della carta rende poco redditizia la sua raccolta; la piccola giostra richiede ormai costi di gestione piuttosto alti e complicate trafile burocratiche per ottenere licenza e permessi; nessuno negli anni ottanta, deve più riparare oggetti di rame … in tale contesto i Rom imparano ad accedere alle poche risorse messe a disposizione dall'assistenza pubblica alimentando, in tal modo , un rapporto con il mondo dei gagè di totale passività e dipendenza.
La sedentarizzazione è il contrario del nomadismo: vuol dire adottare stili di vita contrari a quelli propri alla vita nomade, costringe a modificare valori e abitudini e ridefinire la propria organizzazione sociale ridisegnando i legami della reciproca solidarietà. Un processo così radicale di trasformazione non può che comportare squilibri e contraddizioni.
Gli zingari, quando erano nomadi viaggiavano in piccoli gruppi e avevano contatti sporadici e superficiali con le istituzioni dei paesi attraversati, erano anche occasionali i contatti con gli altri gruppi tant’è che generalmente i matrimoni accadevano all'interno dello stesso gruppo. Ancora oggi i legami di solidarietà, lealtà e fiducia si stringono prevalentemente con i consanguinei, in tal senso le regole basilari proprie a qualsiasi tipo di convivenza sociale risultano radicalmente modificate.
In questo contesto sociale già fortemente compromesso, si innestano, a partire dagli anni ’80 e con una significativa accelerazione negli anni 90, flussi migratori prima dalle zone di guerra della ex Jugoslavia, poi dall'Europa dell’est. Generalmente, nella storia dei processi migratori, i nuovi arrivati trovano, in coloro che li hanno preceduti, solidarietà e sostegno e spesso vanno ad occupare quelle posizioni di cui i primi, nel corso del tempo, si sono emancipati. Ma se, come in questo caso, le diverse ondate migratorie che hanno visto Rom e Sinti giungere nel nostro paese trovano una situazione già gravemente deteriorata in termini di emarginazione e devianza e se coloro che arrivano possono contare solo sull'aiuto di eventuali parenti giunti prima di loro, l’effetto che si produce è deflagrante , alimenta reazioni di rigetto e compromette la situazione di coloro che stanno faticosamente cercando , o hanno già trovato, cittadinanza.
il processo di sedentarizzazione può dirsi ormai del tutto concluso
i Rom perdono anche le fonti della propria autonomia economica; i controlli e le norme relativi all'inquinamento limitano radicalmente quelle attività legate allo scasso delle macchine; la piccola giostra richiede ormai costi di gestione piuttosto alti e complicate trafile burocratiche per ottenere licenza e permessi
l’effetto che l'accelerazione negli anni 90 (guerra ex Jugoslavia) produce è deflagrante , alimenta reazioni di rigetto e compromette la situazione di coloro che stanno faticosamente cercando , o hanno già trovato, cittadinanza.
l'ultima fase: questo ventennio
L’ultima fase, quella che caratterizza quest’ultimo ventennio, ci mostra i risultati di tali dinamiche aggravati dall'ultima ondata migratoria dalla Romania (per entità la più importante nella storia dei Rom e dei Sinti in Italia) che è iniziata in modo strisciante nel 2000, facilitata successivamente dall'entrata del paese nella comunità europea. I Rom rumeni, che fuggono da condizioni di vita durissime e da vere e proprie persecuzioni xenofobe, con il loro arrivo rompono definitivamente quella sorta di precario equilibrio che fino a quel momento aveva in qualche modo tenuto. Un equilibrio che si era retto in una sorta di gioco delle parti.
Per lungo tempo, come si è detto, nei confronti dei gruppi Rom e Sinti le istituzioni sono intervenute sostanzialmente in due modi.
- in alcuni casi cercando di regolarizzarne la presenza sul territorio: attrezzando i campi, attivando timide iniziative di welfare.
- in altri casi facendo finta di non vedere, fino a che la situazione, a fronte anche delle proteste dei cittadini, diventa insostenibile.
A quel punto sgombero dei campi abusivi, allontanamento forzato dei rom che si spostano di qualche chilometro… e la storia ricomincia.
Nel frattempo qualche famiglia si è regolarizzata - i bambini vanno a scuola, gli adulti lavorano, alcuni hanno comprato il terreno su cui abitare oppure hanno ottenuto l’assegnamento di una casa popolare … molti continuano a vivere fuori della legalità, altri sono ‘spariti’, per scelta o per necessità: sono il vigile urbano, il maestro di scuola, lo studente universitario, il nostro vicino di casa che hanno smesso i loro stravaganti abiti gitani. Nel corso degli anni si va creando un precario equilibrio, ma pur sempre un equilibrio.
All'inizio del nuovo secolo tale equilibrio sembra rompersi: i nuovi arrivati sembrano alzare pericolosamente il livello dell’illegalità, la stampa dà grande risalto ad episodi di criminalità che li vedono protagonisti, la Lega organizza una sorta di crociata contro di loro con il risultato di abbassare pericolosamente il livello di sopportazione della gente e la tolleranza delle autorità. Il 2007 e il 2008, quasi ogni giorno, offrono alla cronaca clamorosi episodi di intolleranza e razzismo. Gli zingari sembrano diventare il capro espiatorio di un’intera società. Poi i riflettori si spengono per riaccendersi poco più in là, sulle nostre coste dove cominciano con un ritmo sempre più serrato gli sbarchi dei richiedenti asilo. Perché adesso sono loro, gli immigrati, il nuovo pericolo sociale.
Oggi comunque si va allargando il numero di coloro che intraprendono un percorso di integrazione sociale e di mediazione culturale, persone che esercitano diritti e doveri di cittadinanza senza rinnegare le proprie origini culturali. Sul fronte opposto si è affermata la subcultura deviante. Ha alzato il tiro: spaccio, prostituzione sono le nuove attività e chi vent'anni fa non sapeva neanche parlare italiano, oggi organizza frodi via internet. Coloro che vi aderiscono fanno parte di organizzazioni delinquenziali generalmente a carattere familiare, ognuna specializzata nelle varie attività: ricettazione, usura, truffa. Rimangono coloro che vivono di espedienti in condizione di ghettizzazione e povertà, in una concatenazione tragica di esclusione e deprivazione culturale.
dei Rom e Sinti ci si dimentica, salvo parlarne sporadicamente, magari quando in occasione dell’assegnazione di un alloggio popolare, qualcuno organizza la protesta degli altri abitanti
la piramide sociale dei Rom
Si è creata così, anche tra gli zingari, una sorta di inedita stratificazione sociale. Se consideriamo come indicatore esclusivamente le risorse di tipo economico ne fuori una piramide decisamente schiacciata verso il basso che
- vede al vertice coloro che svolgono attività illecite;
- al centro quelli che hanno la sicurezza di un lavoro e,
- nella maggior parte dei casi un’abitazione fuori dai campi;
alla base, la maggioranza, quelli che vivono ai margini della legalità e ai limiti della sopravvivenza.
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cliché e pregiudizi sui ROM
L'olocausto dimenticato dei Rom
Rom: ascolta il loro punto di vista
Professore Associato e titolare degli insegnanti di Sociologia e Sociologia delle migrazioni (Università di Pavia). I suoi ambiti di ricerca includono l’identità culturale e i processi di trasformazione della realtà degli zingari, la teoria dell’ambivalenza sociologica, l’etica della cura e della responsabilità. Ha pubblicato Il mercato dei corpi. Dal movimento femminista al femminismo diffuso (Angeli, 2004 con L. Grasso), Zingari. Storia di un’emergenza annunciata (Liguori, 2008), Potere e cura. Stili di leadership femminili (Ledizioni, 2012 con M. A. Confalonieri). I suoi numerosi articoli sono apparsi su riviste scientifiche come Quaderni di Sociologia, Il politico, Revue Suisse de Sociologie. (leggi di più)