Identità politica e militare dei 27 paesi membri della UE. Ci sono momenti che il contatore della storia subisce delle accelerazioni improvvise ed assume velocità prima impensabili; parlando delle Rivoluzione di Ottobre, Lenin diceva ci sono dei decenni in cui non accade nulla, e poi delle settimane in cui accadono decenni. I giorni che stiamo vivendo, caratterizzati dall’invasione dell’Ucraina messa in atto dalla Russia, sono riconducibili a situazioni analoghe, anche se, ci auguriamo vivamente, di portata diversa.
Questo articolo, nonostante le premesse, non intende occuparsi né di conflitti militari in genere, né della guerra in Ucraina nello specifico, e questo per alcuni motivi che riteniamo validi: il principale è che questa guerra è tutt’ora in corso, gli esiti sono incerti e sicuramente non è nelle corde di Civitas quello di costruire e ipotizzare scenari bellici e post-bellici;
Il secondo è che nutriamo qualche dubbio sull’importanza ma soprattutto sul valore etico di questo voyeurismo da salotto, cioè su questa guerra vista dal divano di casa. Crediamo che la foto della bambina con il lecca-lecca che ha fatto, in questi giorni, il giro del mondo, sia una buona esemplificazione di cosa intendiamo con voyeurismo da salotto
argomenti trattati
Il ruolo dei media
Con questo non intendiamo togliere nulla al ruolo importante che giornali e televisioni (italiani, europei e mondiali) svolgono nel mantenere informato il pubblico circa l’evoluzione degli scontri armati in corso, e delle trattive (per ora deboli e poco concludenti) mirate alla ricerca di una soluzione diplomatica. In particolare, ci riferiamo a chi lavora in presa diretta sul fronte e alle diverse vittime che si sono dovute registrate tra giornalisti e cameramen.
inizio giugno 2022 - 32 giornalisti uccisi - più di 40 feriti
Nel corso dell'articolo parleremo delle spese militari sostenute dai vari Stati, e riporteremo cifre dettagliate per tipo di spesa, ma tra queste con compariranno due voci di spesa che stanno assumendo un ruolo importante: la propaganda militare e i media da un lato, e la cyber-war (attacchi cibernetici) dall'altro.
Il primo, la propaganda, non è di certo uno strumento nuovo, anzi forse è vecchio quanto la guerra. Quando 2500 anni fa Eschilo disse la prima vittima della guerra è la verità, sicuramente non poteva sapere quanto questa profezia sarebbe stata così drammaticamente attuale e così esponenzialmente amplificata dai social network e dalla diffusione dei cellulari.
Da un video o una foto “taroccati” in modo improbabile e “sgamabili” facilmente (come i video scoperti dalla BBC) si arriva a foto abilmente modificate con Photoshop o video manipolati attraverso sofisticate tecniche di intelligenza artificiale (che potremmo aver già visto senza sapere che sono falsi). La propaganda di guerra si può nascondere dietro a tutto ciò. Quando queste non riescono a raggiungere il risultato, si arriva al controllo o alla repressione della libertà di stampa. È all’interno di questo contesto che Kari Anden Papadopoulos della Stockholm University identifica la una nuova figura del “citizen camera-witness”: cittadini che sono nelle zone coinvolte, che “rispondono a una crisi eseguendo un atto di testimonianza che fa appello a un pubblico” e si trasformano volontariamente da semplici osservatori “passivi” a testimoni “attivi”.
Così si comprende come il primo obiettivo sensibile della propaganda sia sempre la verità, e da questo comprendiamo anche il valore irrinunciabile di una stampa libera e non schierata o asservita.
Infine un'ultima considerazione sul comportamento dei media. Gli italiani (ma non solo loro) sono stati letteralmente bombardati per due anni dai servizi e dai talk-show sul Corona virus. L'invasione dell'Ucraina ha avuto l'apparente merito di sconfiggere il virus (ma questo, tetragono, pare proprio che non se ne sia accorto), in compenso siamo passati da quello del Covid siamo passati ad un nuovo bombardamento (per fortuna mediatico): la guerra. Johann Rossi Mason, giornalista medico scientifico, saggista e imprenditrice, scrive su UffingtonPost (il 19 marzo 2022):
Sembra che un direttore di un telegiornale nazionale, di fronte alla proposta di trattare un argomento di salute abbia risposto: "Ma sai, c’è la guerra: o si parla di guerra o di Covid, non c’è altro che ci interessi". Se anche non lo avessi sentito con le mie orecchie, appreso da fonte nota e di cui mi fido, lo avrei capito accendendo la televisione. Su qualsiasi canale nazionale a qualsiasi ora, telegiornali e talk show parlano solo di guerra. Tiene banco da giorni e il flusso delle analisi e degli approfondimenti non sembra cessare, anzi, a dire la verità, incalza e insegue lo spettatore. In Italia per due anni non è successo quasi altro che la pandemia. Unica eccezione il secondo mandato del Presidente Mattarella, poi il nulla ... (continua a leggere)
L'elenco degli argomenti, pubblicati e relegati nelle ultime pagine di un quotidiano, sarebbe lungo, ma, non è l'oggetto di questo articolo (anche se forse sarebbe meglio parlare di palinsesto in seconda serata, perché il fenomeno riguarda soprattutto il mondo dei programmi televisivi); in questa situazione, probabilmente potrebbero avere una loro utilità alcune linee guida giornalistiche che mettano un tetto al numero di ore che una rete può dedicare ad un dato argomento, .
Una premessa di metodo: le fonti utilizzate
Non parleremo di guerra ma cercheremo, invece, di fornire ai lettori di Civitas alcuni dati oggettivi che ruotano intorno al tema del conflitto e in particolare al tema della Identità Politica e Militare dell’Unione Europea; come sempre la nostra attenzione è particolarmente rivolta ai lettori più giovani (gli studenti delle scuole medie superiori)
A proposito di giovani lettoti segnaliamo un'interessante iniziativa dell'ISPI: Dialogo con 150mila studenti d'Italia, per capire il conflitto in Ucraina. Si tratta di un ciclo di incontri rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. Il format prevede due incontri virtuali – il 16 e 22 marzo 2022 - in cui saranno coinvolti i ricercatori dell’Ispi ma anche giornalisti ed esperti che cercheranno di spiegare con un linguaggio adatto ai ragazzi e attraverso grafiche e mappe da dove nasce e dove porterà questa guerra che sembra aver colto di sorpresa il mondo non ancora uscito dalla pandemia. (continua a leggere su HuffPost)
Nel corso dell’articolo verranno richiamate ovviamente molte cifre relative a dati demo-economici e vale la pena ricordare che non è sempre agevole trovare dati attendibili relativi a molti paesi; per questo le fonti utilizzate da Civitas, in questo articolo, sono sostanzialmente i data base resi disponibili dal centro di ricerca dell’università di Oxford (il portale Our Word In Data) e quelli della Banca Mondiale, in entrambi i casi, quasi sempre, l’anno più avanzato degli aggiornamenti è il 2020 (si veda)
In tema di fonti, segnaliamo anche, per chi non la conoscesse, un’altra importante e autorevole fonte: l'Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI)
Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma
È un istituto internazionale indipendente, fondato nel 1966 per commemorare i 150 anni di pace ininterrotta in Svezia, che si occupa di peace studies. Il suo compito è quello di condurre ricerche scientifiche in materia di conflitti e cooperazione, di importanza per la pace e la sicurezza internazionale, allo scopo di contribuire a una comprensione delle condizioni per soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali e per una pace stabile. Attraverso le sue ricerche il SIPRI rende accessibili informazioni imparziali su sviluppo degli armamenti, spese militari, produzione e commercio di armi, controllo degli armamenti e disarmo, oltre che su conflitti, prevenzione dei conflitti, sicurezza regionale e industria della difesa.
I risultati del SIPRI vengono diffusi principalmente tramite libri, rapporti e altre pubblicazioni, oltre che tramite il suo sito web. La principale pubblicazione dell'istituto è il SIPRI Yearbook, un compendio annuale dei principali avvenimenti e statistiche in tema di sicurezza internazionale e armamenti; dal 2011, ne viene distribuita una sintesi in lingua italiana edita dal Torino World Affairs Institute.
La spesa militare nel mondo
È fuori di dubbio che l’Unione Europea sia uno dei grandi protagonisti economici del pianeta come risulta dall’analisi del PIL (2020) dei principali attori: Stati Uniti 20.9 trilioni di $, Cina 14.7 e Unione Europea 15.3. Diverse sono, invece, le conclusioni cui si arriva se guardiamo all’unione come ad uno Stato, dotato di una propria politica estera e, di conseguenza, di una propria forza militare e capacità diplomatiche; sotto questo profilo è molto più complesso esprimere valutazioni.
Parlare di spese militari di circa 200 paesi del mondo è un processo delicato, se non altro, per il fatto che i diversi Stati non sono particolarmente propensi ad una trasparenza dei dati (di spesa militare) che direttamente li riguardano, e, tutto sommato, se ne comprendono le motivazioni.
Il monitoraggio delle spese militari dei paesi richiederebbe trasparenza. La maggior parte dei paesi fornisce dati sulle spese militari nei rapporti ufficiali del governo. Tuttavia, le informazioni sono a volte di difficile accesso e le relazioni nelle pubblicazioni governative variano ampiamente. Un possibile fattore che influenza la trasparenza è la qualità delle istituzioni democratiche.
Nel Sud-Est asiatico, ad esempio, gli indicatori di base della trasparenza nazionale - accessibilità, disponibilità, classificazione, completezza, disaggregazione e la fase del processo di previsione di spesa in cui avviene il reporting - mostrano che la trasparenza complessiva dei rapporti governativi sulle spese militari in questa sotto-regione è abbastanza buona. Cinque paesi (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Timor Est) sono trasparenti, tre paesi (Cambogia, Myanmar e Singapore) hanno una trasparenza parziale, e solo il Brunei Darussalam, il Laos e il Vietnam sono giudicati con una trasparenza limitata o inesistente.
L'articolo approccia il tema del confronto della spesa militare dei vari Paesi, utilizzando il dato della spesa globale, cifra che include il personale militare e civile, il funzionamento e la manutenzione, l'approvvigionamento, la ricerca e lo sviluppo, ecc.., e quindi siamo in grado di analizzare la quantità della spesa ma non la sua qualità; in ambito Nato, l’Italia, ad esempio, spicca per un maggiore percentuale delle spese di personale rispetto alla media degli altri membri (come meglio descritto nel seguito).
Con le premesse e, in parte con i limiti, cui abbiamo fatto cenno, di seguito presentiamo una tabella sintetica che riporta dati di spesa militare (e non solo) per alcuni paesi e per alcuni raggruppamenti.
Per quanto concerne le unità di misura che caratterizzano i dati della tabella precisiamo che con USD si intende il dollaro americano (la valuta ufficiale degli Stati Uniti d'America), per mil USD si intende milioni di dollari, per bil USD miliardi di dollari (bilioni in gergo anglosassone)
La scelta dei Paesi, che è ovviamente discutibile, è riconducibile all’obbiettivo specifico di quest’articolo: comprendere il ruolo che l’Unione Europea è in grado di giocare sul fronte della politica, degli armamenti e della diplomazia nel mondo in generale e all'interno della Nato in particolare; da qui la scelta di includere i 5 principali paesi della UE (principali per popolazione).
A questi abbiamo aggiunto Cina, Russia e India, oltre a Canada, Regno Unito e Turchia in quanto attori importanti nella Nato ; è ovvio che mancano all’appello alcuni paesi significativi il Brasile e la Nigeria ad esempio; mancano anche altri paesi, meno significativi, forse, sul piano complessivo, ma comunque potenzialmente "pericolosi" in quanto detentori di arsenale atomico, come il Pakistan, Israele e Korea del Nord.
Abbiamo cercato, in questo modo, di privilegiare la sintesi e la leggibilità dei dati piuttosto che la loro completezza. Ai singoli paesi, nella tabella, abbiamo aggiunto anche alcuni raggruppamenti di Stati. (per conoscere maggiori dettagli su quali sono i paesi dei vari raggruppamenti aprire il box sottostante)
i raggruppamenti di Paesi
G20 (19 paesi più Unione Europea)
Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti d'America, Sudafrica, Turchia
G7 (7 paesi)
Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti d'America
UE27 (27 paesi)
Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria
Nato (30 paesi)
Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America, Turchia, Ungheria.
Nato non UE (6 paesi)
Canada, Islanda, Norvegia, Regno Unito, Stati Uniti d'America, Turchia
UE non Nato (7 paesi)
Austria, Cipro, Croazia, Finlandia, Irlanda, Malta, Svezia
Alcune prime considerazioni
La spesa militare complessiva sostenuta in tutto il mondo è di 2.000 miliardi di dollari. Questa è la cifra certificata dal SIPRI di Stoccolma; una cifra impensabile, superiore al PIL del nostro paese per fare un esempio. Ognuno di noi si può sbizzarrire a immaginare come questa cifra potrebbe essere impiegata per altri fini, per realizzare idee che fanno bene.
Duemila miliardi spesi per strumenti di morte, che potrebbero trasformarsi in strumenti di vita, pensiamo ai 750 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà estrema (meno di 1.90/giorno secondo l’ONU), o agli altri 4 miliardi di persone che sono denutrite; pensiamo all’Organizzazione Mondale per la Sanità (OMS) che viene finanziata da stati e da privati (Bill Gates sopra tutti) per 2 miliardi all’anno. (si vedano su Civitas le mappe della povertà estrema)
Siamo armati fino ai denti ma un piccolo essere, chiamato Corona Virus, è stato in grado di mettere in ginocchio il pianeta. Queste parole sono sicuramente destinate a finire come lacrime nella pioggia visto che le spese militari complessive stanno aumentando. Se siete interessati a questo aspetto guardate il video di Luca Liverani, giornalista di “Avvenire”, che è stato invitato al convegno IDEE che fanno BENE – una società più giusta una società più sana, promossa da Emergency il 12-15 ottobre del 2020.
La NATO e l’Europa
Il nome completo dell'alleanza è Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, ma quasi sempre ci si riferisce a questa con il nome NATO (o OTAN per i francesi). È un’organizzazione internazionale a carattere regionale fondata dal Trattato del Nord Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile 1949 da 10 Stati europei (Belgio, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo e Regno Unito,) e da due Stati nordamericani (Canada e Stati Uniti). Nel corso degli anni il numero dei membri è aumentato progressivamente, e, con l’ultimo ingresso della Macedonia del Nord, avvenuto nel 2020, si è arrivati a 30 paesi. (per avere maggiori ragguagli sugli ingressi di altri paesi nel tempo vedi)
Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America, Turchia, Ungheria.
I principi generali sui quali si fonda la NATO possono essere così riassunti
sul fronte Politico
la NATO promuove i valori democratici e consente ai membri di consultarsi e collaborare in materia di difesa e sicurezza per risolvere i problemi, creare fiducia e, nel lungo termine, prevenire i conflitti.
sul fronte Militare
la NATO si impegna a risolvere pacificamente le controversie. In caso di fallimento degli sforzi diplomatici, ha il potere militare di intraprendere operazioni di gestione delle crisi. Tali operazioni devono essere condotte in base alla clausola di difesa collettiva presente nel trattato fondativo della NATO - Articolo 5 del Trattato di Washington o dietro mandato delle Nazioni Unite, da soli o in collaborazione con altre organizzazioni internazionali.
La NATO ha sede a Bruxelles e ciascun paese membro ha una delegazione permanente presso la sede politica (Avenue Leopold III, 1110 Bruxelles) . In Italia, la sede della Nato Defense College si trova in Via Giorgio Pelosi, 1.
La più alta carica operativa è quella del Segretario Generale. Il Segretario Generale è il più alto funzionario internazionale dell’Alleanza. Ha il compito di guidare le consultazioni e il processo decisionale all’interno dell’Alleanza e di garantire l’attuazione delle decisioni. Il Segretario Generale è anche il portavoce capo della NATO nonché il capo dello staff internazionale dell’organizzazione che ha il compito di fornire consulenza, orientamento e assistenza amministrativa alle delegazioni nazionali nei quartieri generali della NATO. La carica è attualmente ricoperta dal norvegese Jens Stoltenberg, ex primo ministro della Norvegia, il cui mandato scade a settembre di questo anno (2022). Gli alleati della Nato si sono trovati d'accordo nel prorogare di un anno il mandato di Segretario Generale a Jens Stoltenberg, anche alla luce della situazione in Ucraina
la situazione di alcuni paesi: Ucraina, Svezia, Finlandia e Austria
Ucraina
L’Ucraina può essere un Paese neutrale, ma con un proprio esercito sul modello Svezia o Austria”, questa è stata la proposta della delegazione russa per un potenziale negoziato di pace con l’Ucraina. Ma in cosa consiste e come nasce la neutralità di questi due paesi, ai quali aggiungiamo anche la Finlandia? questi tre stati, pur appartenendo alla Unione Europea, non fanno parte della Nato, oltre ad altri quattro, sempre della UE, e sono: Cipro, Croazia, Irlanda, Malta.
Svezia e Finlandia
Il modello svedese fa riferimento alla neutralità ‘storica’ del paese nordeuropeo, che però non è sancita nella Costituzione o con un trattato internazionale. Svezia che allo scoppiare della seconda guerra mondiale era già neutrale da oltre un secolo, anche se durante il conflitto concesse alle truppe naziste di attraversare il suo territorio per raggiungere la Finlandia. Al termine della guerra, a cui non prese parte, si rifiutò quindi di entrare nella Nato.
Così come la vicina Finlandia, il governo di Stoccolma potrebbe cambiare la propria posizione a livello globale: non è un caso se proprio di fronte all’invasione russa in Ucraina la Finlandia e la stessa Svezia starebbero valutando l’adesione all’Alleanza atlantica.
Svezia e Finlandia accelerano sull'adesione alla Nato, "presto la decisione"
13 aprile 2022 - HuffPostIncontro fra Magdalena Andersson e Sanna Marin. La prossima settimana dibattito al Parlamento di Helsinki, mentre Stoccolma promette valutazioni sulla sicurezza "approfondite ma rapide" e i media parlano di richiesta di adesione al summit di Madrid di fine giugno. Finlandia e Svezia preparano il passo di ingresso nella Nato. Ne hanno discusso le due leader, il primo ministro svedese Magdalena Andersson e l'omologa finlandese Sanna Marin. Il faccia a faccia si svolge nello stesso momento in cui la Finlandia presenta il suo nuovo rapporto sulla politica di sicurezza, con Marin che annuncia per la prossima settimana il dibattito in Parlamento sull’adesione finlandese all’Alleanza Atlantica. “Non possiamo dare una tempistica della decisione” afferma Marin, ma “parliamo di settimane, non di mesi”.
Marin vorrebbe che contestualmente anche la Svezia si candidasse - "Sarebbe una buona cosa se adottassimo scelte simili" - Andersson spiega che anche Stoccolma farà valutazioni “approfondite ma rapide” per la richiesta di adesione alla Nato. Secondo i media svedesi una richiesta potrebbe arrivare per il summit di Madrid a fine giugno. Sia in Svezia che in Finlandia, il dibattito sulla Nato è divampato dopo l'invasione russa dell'Ucraina. La scorsa settimana, il ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto ha confermato al quotidiano Iltalehti che il governo sta preparando una domanda di adesione alla Nato. Alcune fonti, riprese dai media internazionali, hanno poi detto che una decisione per presentare domanda può essere presa durante la prima metà di maggio. Il primo ministro svedese Andersson ha dichiarato due settimane fa di non escludere in alcun modo l'adesione. La Nato ha segnalato che i due Paesi saranno accolti a braccia aperte.
Ma quale sarebbe il peso che avrebbero questi due paesi entrando nella NATO? E' abbastanza evidente il valore simbolico che questo ingresso potrebbe avere nell'attuale contesto, ma anche la loro collocazione geografica: la vicinanza alle repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) ma, soprattutto la vicinanza alla Russia.
Sul piano numerico invece sono due paesi (apparentemente) poco significativi, anche se i dati che riportiamo nella tabella sottostante sono desunti dallo stesso database (Our World in Data) utilizzato per la tabella più generale vista in precedenza, dove i dati si riferiscono al 2020 per quanto concerne e al 2018 per il personale militare.
La situazione reale è .un po' diversa; entrambe le cifre di personale militare si riferiscono alle forze armate professionali, non tengono conto dei riservisti, ma soprattutto non tengono conto delle capacità di mobilitazione che hanno le due popolazioni, abituate da molto tempo a vivere pericolosamente. Come sempre i dati su questo argomento non sono certi e tra loro discordanti a seconda della fonte. Guardate come il portale QuotidinaNazionale intitolo oggi (14 aprile 2022) un suo articolo sulla rete. Tunnel, bunker, caccia e maxi eserciti. Svezia e Finlandia pronte a tutto.
I numeri. Helsinki ha un esercito di 280mila soldati e 900mila riservisti. Il confine tra la Finlandia e la Russa è di poco inferiore ai 1.400 chilometr.
Il 4 aprile 2023, la Finlandia ha aderito ufficialmente al Patto del Nord Atlantico ed è diventata il 31esimo Paese membro della NATO, facciamo notare che non tutte le tabelle dei dati dove si parla di NATO non sono stati ancora aggiornati.
continua su: https://www.geopop.it/video/la-finlandia-entra-nella-nato-svolta-storica-e-il-31esimo-paese-dellalleanza-atlantica/
https://www.geopop.it/
Stoccolma ha la terza aviazione al mondo con oltre mille cacciabombardieri. Se il personale attivo, diviso tra militari e paramilitari, è pari a poche decine di migliaia di persone, quello disponibile in caso di necessità è superiore ai 4 milioni. Pur nel suo status neutrale, la Svezia è ogni tre anni la nazione guida di uno dei Gruppi tattici dell'Ue, quello nordico, ha partecipato per due volte a esercitazioni Nato e fa parte della Nordefco, gruppo di cooperazione che include anche Norvegia, Islanda, Finlandia e Danimarca e svolge, a sua volta, manovre congiunte.
Un’ulteriore espansione della Nato, con l’ingresso della Finlandia e della Svezia all’alleanza, non contribuirà ad una maggiore sicurezza dell’Europa. E’ quanto ha ribadito il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, commentando le rivelazioni del Times secondo cui i due Paesi potrebbero entrare nella Nato in estate. «L’alleanza stessa è piuttosto uno strumento indirizzato al confronto. Questa non è un’alleanza che garantisce pace e stabilità. Un’ulteriore espansione dell’alleanza, ovviamente, non porterà ulteriore sicurezza al continente europeo», ha affermato il portavoce del Cremlino.
Austria
Diverso è il caso dell'Austria. A Vienna, infatti, la neutralità è prevista e sancita dalla Costituzione dal 1955, una decisione che non può essere rovesciata da un governo con un semplice ‘tratto di penna’ ma che va affrontata con una lunga e complicata revisione costituzionale. Non è un caso se per l’Austria si parli infatti di “neutralità permanente”. Il Paese comunque fa parte del gruppo di quelli “associati” alla Nato, ovvero invitati ai vertici come osservatori ed è membro dell’Unione europea dal 1995 così come Svezia e Finlandia. (tratto da Il Riformista).
La spesa militare NATO per tipologia di spesa
Nel fare confronti tra la spesa militare dei vari paesi sarebbe importante affiancare al dato complessivo quello disaggregato per tipologia di spesa. Disponiamo solo di dati relativi alla Nato per la quale sono previsti 4 tipologie di spesa
- Personale: stipendi, contributi versati dal datore di lavoro e spesa per pensioni;
- Investimenti: armamenti (missili, aerei, artiglieria, ecc.) e ricerca e sviluppo destinata ad essi;
- Altro: munizioni, esplosivi, spese per manutenzione, addestramento (assimilabile quindi alla voce "esercizio");
- Infrastrutture: costruzioni a scopo militare nazionali e comuni.
Nella tabella seguente i dati si riferiscono alla percentuale di spesa sul totale
Molti sono i dati presentati in questo articolo e su questi si possono fare diverse considerazioni, e parte di queste le potranno fare i lettori di Civitas; noi ne riporteremo alcune nel paragrafo successivo e conclusivo in cui si affronta il tema del rapporto tra NATO e Unione Europea. In generale è bene precisare che qualunque delle analisi che si possono fare vanno collocate all'interno di uno dei due scenari possibili.
Il primo è uno scenario di conflitto nucleare e in questo, ovviamente, USA (o Nato) e Russia sono i due interlocutori principali, due attori uniti in un deadlock terrificante (nella terminologia informatica il deadlock è anche definito abbraccio mortale, mai come in questo caso il termine sarebbe da prendere alla lettera).
Oppure il ragionamento può essere condotto all’interno di un contesto di conflitto tradizionale e, in questo caso, si vede chiaramente che la Nato sovrasta decisamente gli altri Stati:
- 1000 miliardi di spese militari della Nato contro i 67 della Russia, e i 245 della Cina;
- quanto al personale impiegato abbiamo una situazione analoga: 4 milioni nella Nato, contro 1,5 della Russia e 2,7 della Cina;
- cambia la percentuale di personale militare rispetto alla popolazione: in Russia 10 persone ogni 1000 abitanti, contro i 4 della Nato e i 2 della Cina.
Il prossimo segretario Nato
(tratto da Huffington Post del 21 marzo 2022 a firma di Sandro Gozi)
Mentre i missili russi continuano a cadere sul suolo ucraino, la Nato è chiamata a rispondere all’ennesima crisi di sicurezza sul continente europeo con fermezza e unità. La prossima tappa nel processo di rinvigorimento del Patto atlantico sarà il vertice di Madrid di giugno durante il quale i Paesi membri saranno chiamati a eleggere un nuovo Segretario Generale. Quest'ultimo prenderà il posto dell’ex Primo Ministro norvegese, Jens Stoltenberg, molto popolare per la sua tranquilla diplomazia, ma al tempo stesso responsabile di una Nato che appariva ormai in stato di morte cerebrale prima delle recenti azioni di Putin.
Italia e Francia hanno una responsabilità essenziale in questo passaggio storico, considerando che nei prossimi cinque anni dovremo creare una struttura di difesa europea più forte e guidata con maggiore determinazione. Ciononostante, molti guardano la prossima nomina del Segretario generale dal punto di vista sbagliato. Non abbiamo bisogno di qualcuno che faccia da intermediario per la pace, in quanto responsabilità nelle mani di altri quali ONU, OSCE e il Normandy Group. Abbiamo bisogno di qualcuno che possa unire i leader dell’UE e creare una difesa europea credibile e reattiva, soprattutto qualcuno che abbia capacità di monitorare, prevedere e prevenire futuri conflitti in Europa.
Sono numerose le voci che in questi giorni paventano la possibilità di un nome italiano alla testa della NATO, un’aspirazione che non ha (almeno a parole) attirato l’attenzione dei più recenti ex inquilini di Palazzo Chigi. Mentre nulla sembra ancora deciso sulla possibile scelta del futuro candidato, un Segretario Generale italiano di spessore potrebbe tuttavia rappresentare un’ottima notizia sia per l’UE che per la NATO, in quanto assicurerebbe coesione tra la necessità di rinvigorire l’alleanza atlantica e di federare gli Stati europei in un progetto di politica estera e di difesa comune. L'Italia ha dunque il dovere, non solo il diritto, di avanzare una propria candidatura.
In questo delicato momento storico, la NATO non ha bisogno di un Segretario Generale di un Paese che ha scelto di abbandonare le strutture di difesa europee, in quanto il suo obiettivo principale dovrà essere al contrario l’espansione, il rinvigorimento e la fusione di queste stesse strutture. Perciò un italiano convintamente europeista rappresenterebbe l’identikit ideale per un simile ruolo.
l'arsenale nucleare
Con l'espressione "Stati con armi nucleari" si indicano quegli stati che hanno costruito, hanno testato e sono attualmente in possesso di armi nucleari di qualunque tipo; in termini colloquiali, spesso ci si riferisce a questi Stati con l'espressione "club nucleare". In base ai termini del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), entrato in vigore il 5 marzo 1970, sono considerate ufficialmente "Stati con armi nucleari" (nuclear weapons states o NWS) quegli stati che hanno assemblato e testato ordigni nucleari prima del 1º gennaio 1967: Stati Uniti d'America, Russia (succeduta all'Unione Sovietica), Regno Unito, Francia e Cina, ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nella tabella le testate nucleari possedute da vari paesi.
Oltre a questi, altri quattro stati, non aderenti al TNP, hanno sviluppato e sono in possesso di armamenti nucleari: India, Pakistan, Corea del Nord (aderente al TNP nel 1985 ma ritiratasi da esso nel 2001) ed Israele (sebbene il governo israeliano non abbia mai confermato ufficialmente di possedere un arsenale nucleare); lo status di questi stati circa gli armamenti nucleari non è formalmente riconosciuto dagli organismi internazionali, ma è contemplato nelle pianificazioni strategiche dei principali Stati nucleari. Il Sudafrica allestì un arsenale nucleare tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta ma scelse spontaneamente di smantellarlo nel 1991; i neo-indipendenti Stati di Bielorussia, Kazakistan ed Ucraina si ritrovarono a gestire armi nucleari ex sovietiche dopo la dissoluzione dell'URSS, smantellandole o restituendole alla Russia entro il 1997.
Da una punta massima di 65.000 testate nucleari attive nel 1985, si è passati a circa 17.300 testate nucleari totali alla fine del 2012, di cui 4.300 operative ed il resto in riserva[3]; la distinzione tra testate "operative" ed "in riserva" è molto esile, visto che le seconde possono essere portate a livelli operativi nel giro di pochi giorni o settimane.
Nella tavola mostrata compare anche la sigla CTBT: Il trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (in inglese: Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty - CTBT); è un trattato internazionale che proibisce i test nucleari in qualsiasi ambiente. Il testo del CTBT è stato elaborato tra 1993 e 1996 in seno alla Conferenza del Disarmo. È stato adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 settembre 1996, ma ad oggi non è ancora entrato in vigore, per mancanza del numero minimo di ratifiche previsto dal trattato stesso.
I dati sono una stima desunta da alcune fonti in rete, ma va precisato che se, in generale, le informazioni relative alle spese militari sono coperte da una certa riservatezza, è facile immaginare quanta poca trasparenza ci possa essere sul fronte degli armamenti nucleari; va anche detto che questa aritmetica delle testate nucleari, se non fosse foriera di possibili immani tragedie, farebbe un po’ sorridere; infatti, anche lo stato che ne possiede meno (Corea del Nord) sarebbe in grado di produrre danni incalcolabili al pianeta.
Nel film Peacemaker (1997) si narra di un furto di 9 testate nucleari dall’arsenale sovietico per mano di un generale russo corrotto, otto di queste vengono recuperate dagli americani, mentre una non si trova; Nicole Kidman (protagonista del film, insieme a George Clooney), esperta di fisica nucleare americana commenta: non mi preoccupa chi possiede 50 o 100 testate nucleari, ma sono terrorizzata da chi ne possiede una, perché e molto probabile che ne farà uso (per il finale, ovviamente a lieto fine, rimandiamo alla visione integrale del film)
Il peso dell’Unione Europea nella NATO
L’Unione Europea è un protagonista di tutto rispetto sul fronte economico, ma quando si passa dall’economia alla politica, e quindi al settore militare e diplomatico, la sua rilevanza scende drasticamente; lo abbiamo visto in questi giorni di guerra in Ucraina quanto poco efficaci siano state le azioni diplomatiche messe in campo da Francia (Emmanuel Macron) e Germania (Olaf Scholz) per non parlare dell’Italia (Mario Draghi), il tutto acuito dalla consapevolezza, un po’ tardiva, di una dipendenza molto accentuata dal gas e dal carbone russo (forse anche dal grano, anche se questo fenomeno e più legato a fenomeni speculativi che da dipendenza effettiva; si veda su Civitas La guerra in Ucraina e il prezzo dei cereali) ; d’altra parte è un po’ difficile imporre dure sanzioni e nello stesso tempo pensare di poter giocare un ruolo negoziale. I dati sintetici relativi alla composizione della NATO e al ruolo della Unione Europea sono evidenziati dai valori della tabella
Nella tabella compaiono 4 blocchi: la NATO nel suo complesso, i 2 paesi dell’America che vi fanno parte, i 3 dell’Europa che vi fanno parte ma non appartengono alla UE (ne mancano altri 4 e precisamente: Albania, Islanda, Macedonia e Montenegro); infine, il blocco dell’Unione Europea con il dettaglio dei 3 paesi principali, e limitata ai paesi membri.
L’Europa (come continente) ha il solo primato del numero di paesi (28 su 30) e di abitanti (circa 60%), per quanto attiene a tutti gli altri indicatori emerge in modo evidente il ruolo predominante degli Stati Uniti: il 70% delle spese militari è sostenuto da questo paese, mentre per quanto riguarda il personale militare si ferma al 35% grosso modo in linea con il peso degli USA sulla popolazione.
L’altro dato che si impone all’attenzione e la percentuale delle spese militari rispetto al PIL: gli Stati Uniti spendono il 3,7% del loro prodotto interno lordo, l’Unione Europea si ferma al 1,6%. Da tempo, e in più riprese, gli USA hanno rimproverato (per l’interposta persona della NATO) gli stati della UE per essere sensibilmente sotto al 2% delle spese militari (con l’unica eccezione della Francia); più allineati sono invece i principali 3 paesi non UE aderenti alla Nato. Questo valore del 2% sul PIL non deriva ovviamente dal trattato che costituisce la NATO siglato nel 1949 dai 12 paesi fondatori, ma fa parte dell’accordo siglato in Galles nel 2014 quando si convenne sull'esigenza di allineare le spese militari al 2% del PIL e questo avvenne in seguito alla annessione della Crimea attuata dalla Russia.
Riportiamo questi fatti e queste cifre per dovere di cronaca, ma non vuol dire che siamo totalmente d’accordo su queste decisioni; in un periodo di sostanziale tranquillità (e di quasi pace) anche la percentuale del 1,5% dedicata alle armi e sottratta al welfare, per fare un esempio, appare anche troppo alta; se invece facciamo riferimento ad uno scenario più turbolento e meno sicuro, allora si potrebbe concludere che una parte significativa della difesa dell’Europa è a carico degli USA.
potete scaricare
Il trattato Nord Atlantico del 1949
Verso un nuovo Concetto strategico della NATO (2021 Centro Studi Geopolitica)
L’Unione Europea nella NATO è, dunque, un nano politico e militare? In parte è vero ma una spesa militare di 213 miliardi è paragonabile al budget della Cina e tre volte superiore a quello della Russia. È anche opinione diffusa che questa fragilità sia alla base della tranquillità con cui Putin ha innescato un conflitto militare contro l’Ucraina, e, a carte viste, non gli si può dare del tutto torto.
Ma il problema forse è un altro: se la UE si comportasse come uno Stato con una sua politica estera e militare unita è indubbio che il suo peso sarebbe certamente diverso. Ma per comportarsi come uno Stato bisognerebbe essere uno Stato (federale).
Malauguratamente questa ipotesi è probabilmente destinata a rimanere un puro esercizio fantasia per molti anni a venire; ricordiamo, ad esempio, che la spesa federale della UE è pari ad un punto percentuale (circa) del PIL, mentre negli Stati Uniti si supera abbondantemente il 20%, a questo si aggiunga il fatto che di frequente si parla di diminuire la spesa federale della UE.
un Esercito UE: quanto è attuabile
Nel bilancio 2021-2027 era già previsto un capitolo dedicato alla difesa e alla sicurezza interna ma per creare un esercito comune serve uno sforzo unitario perché i budget nazionali sono insufficienti. (tratto da Il Sole 24Ore)
Nel 2015 gli Stati membri dell’Unione europea avevano 17.000 carri armati di 37 modelli diversi. Gli Stati Uniti ne avevano 27.500 ma solo di 9 modelli. Stesso discorso per aerei da combattimento e aerei cisterna. In molti Stati Ue la capacità di intervento rapido di jet ed elicotteri d’attacco o per il trasporto di mezzi e truppe era inferiore al 50%. Tra sprechi e duplicazioni, la difesa europea restava ancora tenacemente aggrappata alla vecchia idea di sovranità nazionale.
Poco era cambiato dal fallimento della Ced, la Comunità europea di difesa, nel 1954. Uno studio interno della Commissione, chiesto dall’allora presidente Jean Claude Juncker, metteva impietosamente allo scoperto frammentazioni, implicite debolezze, grandi inefficienze e costi esorbitanti, soprattutto nel confronto con gli Usa. Si stimava che la collaborazione tra Paesi avrebbe generato non solo maggiore efficienza ma anche risparmi per almeno 20 miliardi di euro all’anno.
Già allora la minaccia di Putin (l’invasione della Crimea è del 2014) a cui si era presto aggiunta quella dell’Isis nel cuore delle capitali europee, aveva spinto l’Unione a una profonda riflessione in materia di difesa comune, mettendo in discussione l’opzione Nato-First che delegava tutto all’Alleanza atlantica. Quel dibattito avviato sette anni fa permette oggi alla Ue di non essere del tutto impreparata davanti alla guerra in Ucraina ma soprattutto aiuta a capire l’accelerazione verso una difesa comune.
Nel bilancio pluriennale 2021-2027 venne inserito un capitolo dedicato a difesa e sicurezza con una dote di 13 miliardi, di cui quasi otto per il nuovo Fondo europeo per la difesa per spingere l’integrazione finanziando progetti comuni proposti da consorzi tra aziende di almeno tre Paesi diversi. A questo fondo si aggiunse fuori bilancio lo Strumento europeo per la pace, (European peace facility, Epf) con altri 5 miliardi di euro, che incorporava strumenti preesistenti.
approfondisci sul sito della UE il Fondo europeo per la difesa
e lo Strumento Europeo per la Pace
I ministri degli Esteri e della Difesa dei 27 Stati dell'Unione europea hanno approvato la nuova strategia di Difesa europea che ha come perno la costituzione di una forza militare di circa 5 mila soldati (*), da fare intervenire in casi simili all'evacuazione dell'aeroporto di Kabul, e un aumento della spesa militare per poter effettuare autonomamente interventi militari entro il 2025. "Non è la risposta alla guerra in Ucraina, ma fa parte della risposta", ha spiegato l'Alto rappresentante dell'Ue per la Politica estera, Josep Borrell, al termine del Consiglio. "Quando abbiamo iniziato a lavorare, non potevamo immaginare che all'ultimo momento dell'approvazione la situazione sarebbe stata così grave e che l'Europa avrebbe dovuto affrontare una sfida così grande", ha aggiunto. (continua su Ansa)
(*) se teniamo conto che il totale dei personale militare dei 27 paesi è di circa 1.9 milioni, la cifra decisa di 5000 è di poco superiore al 2.5 ‰ (x 1000).
Difesa europea: «Ora cooperazione tra Stati. Basta frammentazione nell'industria militare»
3 luglio 2022 - Il Sole 24Ore - Carlo Marroni
Parla l'ammiraglio Matteo Bisceglia, direttore dell'Occar (organizzazione internazionale tra Stati europei in materia di armamenti). «Evitare la duplicazione e la frammentazione, migliorare l’interoperabilità e la standardizzazione e ridurre al minimo i costi aggiuntivi, è un obiettivo che può essere perseguito attraverso la cooperazione». In tempi di guerra nel cuore dell'Europa la “difesa” è tornata centrale nelle strategie dei Paesi, che per molti anni avevano affrontato la prospettiva di guerre asimmetriche. Ora l'Ucraina riporta indietro la linea del tempo, ma i tempi sono cambiati, e anche i sistemi di difesa. L'ammiraglio Ispettore Capo Matteo Bisceglia dal 2019 è Direttore dell'Occar, organizzazione Internazionale con sede a Bonn per la cooperazione in materia di armamenti che gestisce programmi complessi di cooperazione nel campo degli armamenti, non solo europei anche se prevalentemente, primo ufficiale ammiraglio italiano a ricoprire questo ruolo. In questa conversazione con il Sole 24 Ore traccia un quadro del settore e le possibili strategie a medio-lungo termine. (continua a leggere)
Ue: fondi del bilancio europeo per acquisti comuni di armi
Per la prima volta nella storia comunitaria (18 maggio 2022), la Commissione europea ha proposto , di utilizzare denaro proveniente dal bilancio europeo per incentivare appalti in comune nell'acquisto di armamenti. L'iniziativa giunge dopo che l'invasione russa dell'Ucraina sta inducendo i Ventisette a un forte aumento della spesa militare. Il tentativo di Bruxelles è doppio: rafforzare il coordinamento tra i paesi e promuovere l'industria della difesa. Le proposte della Commissione europea giungono due mesi dopo un vertice a Versailles nel quale i Ventisette avevano chiesto all'esecutivo comunitario di fare una analisi dei punti di debolezza della difesa europea . Sulla scia della guerra in Ucraina, i paesi membri hanno annunciato un aumento della spesa militare pari a 200 miliardi di euro. Questa nuova tendenza segue un lungo periodo di disarmo silenzioso da parte europea. (continua su Il Sole 24 Ore)
le 4 facce dell'Europa di Mario Draghi
Il giorno 3 maggio 2022, al Parlamento Europeo in seduta a Strasburgo, il primo ministro italiano Mario Draghi ha presentato agli europarlamentari la sua vision di Europa.
l'Europa della difesa comune
E' opportuno convocare una conferenza per razionalizzare e ottimizzare gli investimenti militari
l'Europa dell'energia
Abbiamo appoggiato le sanzioni UE e continueremo a farlo anche in futuro. Bisogna però anche darsi da fare per rendersi indipendenti
l'Europa del debito comune
Ha chiesto a Bruxelles di riaprire l'ombrello utilizzato durante la pandemia e rilanciare prestiti e debito comune
l'Europa federale e senza veti
E' necessario superare il principio dell'unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata
e pur si muove!
Ci sono però settimane in cui succedono decenni, e queste sono state forse una di quelle. Molti fatti si sono affastellati in questo mese e l’Unione sta dando segnali di vita (politica), anche se non sono tutti necessariamente positivi; ricordiamone alcuni tra i principiali
l’unanimità raggiunta nel deliberare sanzioni via via crescenti alla Russia e ai suoi oligarchi, ovviamente questo ci ha allontanato dalla possibilità di svolgere un ruolo negoziale
è finita l’Ostpolitik? (iniziata da Willi Brandt con la DDR) una politica di apertura verso i paesi dell’Europa orientale che ha connotato anche il governo di Angela Merkel, il rinsaldarsi di una asse Francia-Germania, in parte a discapito di un ruolo dell’Italia (con buona pace del trattato del Quirinale?); la chiusura del gasdotto Nord-Stream 2 deciso dalla Germania e fortemente caldeggiata dagli Stati Uniti
la svolta storica di Olaf Scholz e della Germania che hanno deciso di destinare il 2% del PIL alle spese militari, in Italia, la Camera approva a stragrande maggioranza un ordine del giorno che impegna il governo a destinare fino al 2% del Pil alle spese militari; due soli no: di Alternativa e Sinistra italiana; la costituzione di una forza militare della UE di circa 5 mila soldati
la ferma determinazione nella ricerca di uno o più fornitori alternativi per il gas, naturalmente la dipendenza dal gas russo non è la stessa per tutti i paesi e quindi affiorano strategie diversificate: l’Italia in una (discutibile) alleanza con i paesi dell’Europa del sud (Portogallo, Spagna e Grecia); da più voci si invoca l'attuazione di un meccanismo simile a quello giocato dalla Commissione Europea nel processo di acquisto dei vaccini
si sta imboccando la strada di una deroga Ue sui terreni incolti per aumentare la produzione agricola; la Commissione europea prepara le contromisure di emergenza alle carenze causate dalla guerra in Ucraina; il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, in occasione del tavolo sull’emergenza grano convocato dal Governo, ha annunciato: siamo pronti a coltivare da quest’anno 75 milioni di quintali in più di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, per rispondere alle difficoltà di approvvigionamento dall’estero determinate dalla guerra.
le ipotesi, da tempo ciclicamente ricorrenti, ma oggi più forti e più frequenti circa l'emissione di eurobond
l’accoglienza quasi incondizionata dei profughi ucraini fornita da paesi su cui qualche mese fa nessuno avrebbe scommesso: Polonia e Ungheria
le minacce, più o meno velate, che la Russia ha fatto pervenire a Svezia e Finlandia (non appartenenti alla Nato), hanno modificato l’atteggiamento dei due paesi: in questi giorni hanno partecipato alla riunione Nato su invito del segretario generale Jens Stoltenberg; l 'invasione russa dell'Ucraina ha aumentato a livelli record il sostegno pubblico in Finlandia per l'adesione all'alleanza della Nato; lo rivela un sondaggio commissionato dall'emittente pubblica Yle e pubblicato in questi giorni: in base alla rilevazione il 62% degli intervistati nel paese nordico sostiene la richiesta di adesione alla Nato, rispetto al 53% dello stesso sondaggio di due settimane fa.
Un volo di calabroni forse, dove resta difficile individuare una strategia lucida e condivisa: come abbiamo detto per comportarsi come uno Stato probabilmente è necessario essere uno Stato. Al prossimo agosto, saranno passati 68 anni dalla frase profetica pronunciata da Jean Monnet, uno dei padri dell’Unione: L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni apportate a queste crisi. Chissà!
Identità politica e militare dei 27 paesi membri della UE: mappe concettuali
Che cosa sia una mappa concettuale o una mappa tematica è ormai noto e i lettori di Civitas ne hanno avuto abbondanti esempi nei nostri articoli. In sintesi, ogni tavola ha in genere due principali sezioni di visualizzazione: quella MAP dove ad ogni paese viene assegnato una tonalità di colore che rappresenta visivamente l’entità del fenomeno osservato, l’altra, detta CHART rappresenta lo stesso fenomeno in un diagramma cartesiano dove sulle ordinate (asse y) c’è il valore del fenomeno osservato e su quello delle ascisse una variabile indipendente, che può essere il tempo, o altri ancora.
Tutte le tavole originali si trovano sul sito di Our Word in Data che si occupa di spese militari
che cosa è il portale Our World in Data
OurWorldInData è un sito di pubblicazione scientifica appartenente alla categoria della Editoria digitale che presenta ricerche empiriche e dati che mostrano come stanno cambiando le condizioni di vita nel mondo. Questa pubblicazione web sullo sviluppo globale comunica questa conoscenza empirica per mezzo di visualizzazioni di dati interattive (diagrammi e mappe) e presenta le scoperte sullo sviluppo che spiegano cosa provoca i cambiamenti che osserviamo e quali sono le conseguenze di questi cambiamenti.
I grafici mostrano dati interessanti relativi a diversi paesi del mondo; le modalità di visualizzazione sono tre: CHART, MAP e TABLE.
- CHART mostra i dati come grafico nel tempo, in questo caso è possibile aggiungere altre nazioni rispetto a quelle mostrate inizialmente; con il comando ±add country è possibile aggiungere (ma anche togliere) qualche paese (Italia, Francia e Germania ad esempio).
- MAP i dati sono mostrati sulla mappa mondiale assegnando ad ogni paese un colore che simboleggia l'intensità della violazione, con un azione di mouse over compaio altri dati relativi al paese specifico
- TABLE i dati sono visualizzati in tabella (e sono esportabile in formato CSV con il comando download)
- con il tasto
il grafico (sia CHART che MAP) viene animato( nel tempo)
L'obiettivo è mostrare come il mondo sta cambiando e perché. La pubblicazione è sviluppata all'Università di Oxford ed il suo autore è Max Roser, storico sociale ed economista dello sviluppo. Copre una vasta gamma di argomenti in molte discipline accademiche: le tendenze riguardo a salute, risorse alimentari, crescita e distribuzione della ricchezza, violenza, diritti, guerre, cultura, consumo di energia, istruzione, e cambiamento ambientale. Coprire tutti questi aspetti in una sola risorsa rende possibile capire come le tendenze a lungo termine osservate siano interconnesse.
La ricerca sullo sviluppo globale viene presentata ad un pubblico di curiosi, giornalisti, accademici e persone che devono prendere decisioni strategiche. Gli articoli hanno dei riferimenti incrociati tra di loro far capire cosa provoca le tendenze a lungo termine osservate. Per ogni argomento viene discussa la qualità dei dati e, indicando le fonti al visitatore, il sito agisce come database di database – un meta-database.
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Spese militari, 2020
Le spese militari sono misurate in dollari USA costanti 2019; questi dati mirano ad includere tutte le spese sia per le forze militari attuali che per attività
Spese militari pro capite, 2020
Le spese militari pro-capite sono espresse in dollari USA costanti 2019. Questi dati mirano ad includere tutte le spese per le attuali forze e attività militari
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Spese militari in percentuale del PIL, 2020
Le spese militari includono il personale militare e civile, il funzionamento e la manutenzione, l'approvvigionamento, la ricerca e lo sviluppo ; e aiuti militari. La difesa civile e le spese correnti per attività militari precedenti sono escluse
Personale delle forze armate, 2018
Il personale delle forze armate è personale militare in servizio attivo, comprese le forze paramilitari se l'addestramento, l'organizzazione, l'equipaggiamento e il controllo suggeriscono che possono essere utilizzati per sostenere o sostituire le forze militari regolari.
Personale delle forze armate come quota della popolazione totale, 2018
Il personale delle forze armate è personale militare in servizio attivo, comprese le forze paramilitari se l'addestramento, l'organizzazione, l'equipaggiamento e il controllo suggeriscono che possono essere utilizzati per sostenere o sostituire le forze militari regolari.
Le basi militari degli Stati Uniti in Italia e nel mondo
Dovendo parlare degli assetti politico-militari che caratterizzano il nostro mondo, un’attenzione particolare dovrebbe essere rivolta alla posizione degli Stati Uniti e in questo articolo ne abbiamo riferito con molti dati; tuttavia, non abbiamo accennato al tema delle basi militari americane sparse su tutto il pianeta: più di 800 di cui più di 100 in Italia (poche in Francia anche perché la Francia, dal 7 Agosto 1966, rifiuta ufficialmente di ospitare Basi USA o NATO).
Naturalmente non tutte hanno la stessa dimensione e la stessa rilevanza strategica: si va avamposti sperduti dove i militari vivono in tende o baracche, fino a veri e propri microcosmi USA dove viene replicato lo stile di vita del paese d’origine; si va da basi poste all’interno di grandi città metropolitane come a Napoli (ex base Nato), sino a basi localizzate in posti sperduti come ad esempio la base americana dell’isola di Guam nel Pacifico Settentrionale.
Come è noto ogni interesse italiano per lo sviluppo di un proprio deterrente nucleare nazionale cessò del tutto nel 1975, con l'adesione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare. Attualmente l'Italia non produce né possiede armi nucleari ma partecipa al programma di "condivisione nucleare" della NATO. Di fatto sul territorio nazionale sono presenti più di 100 testate nucleari e lo sono in due basi militari USA/NATO: Aviano (PN) e Ghedi (BS), per saperne in po'potete leggere, ad esempio, Nucleare, in Italia oltre 100 bombe Usa. Ecco dove sono dislocate su Il Sole 24Ore del 22 settembre 2022 a firma di Marco Ludovico (leggi tutto)
A volte, poi, si fa un po’ di confusione tra basi Nato e basi americane. La base Nato di Sigonella, nella piana di Catania, di fatto ospita la componente aerea della Marina statunitense: si tratta del principale hub per le operazioni americane nel Mediterraneo. La base Nato di Camp Darby, che si trova nella Tenuta di Tombolo, in provincia di Pisa, è a tutti gli effetti una base militare della US Army; come ha rivelato il colonnello Erik Berdy in un’intervista, è il deposito di materiale bellico più grande al di fuori del territorio statunitense. Uno dei più grandi ospedali militari USA fuori dagli Stati Unit si trova nella base di Ramstein in Germania, a nord-ovest di Stoccarda verso il confine con il Lussemburgo.
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